Metri quadri minimi per abitabilità: consigli, approfondimenti e requisiti specifici per poter vivere in una casa a norma.
Quando si ha intenzione di comprare o affittare un immobile, ci si dovrebbe interrogare su quali sono i requisiti minimi di abitabilità. Si tratta di una questione importante, perché uno dei fattori principali da considerare è la superficie: ogni persona deve avere a propria disposizione un certo numero di metri quadri per vivere in modo confortevole. Cerchiamo di farà chiarezza sui metri quadri minimi per l’abitabilità, partendo dalle normative nazionali e regionali.
Quanti m2 deve essere una casa per essere abitabile?
Quando si ha intenzione di comprare o affittare casa, c’è la necessità di comprendere prima di tutto quali sono i requisiti minimi di abitabilità. Tale prerogativa, è subordinata al rispetto di requisiti minimi di superficie, definiti da normative nazionali e regionali. Secondo il Decreto Ministeriale 5 luglio 1975, le abitazioni devono garantire una determinata metratura minima che varia in base al numero di occupanti e alla destinazione d’uso dell’immobile.
Per comprendere quali siano i metri quadri minimi per abitabilità bisogna considerare due aspetti:
superficie abitabile: per i primi 4 occupanti, sono 14 metri quadrati per persona, mentre per i successivi occupanti sono 10 metri quadrati per persona;
camere da letto: 1 persona deve avere a disposizione 9 metri quadrati mentre 2 persone devono avere a disposizione 14 metri quadrati.
Vi sono dei casi particolari come quello monolocale, dove sono contemplati solo 28 metri quadrati per una persona e 38 metri quadrati per due persone. A prescindere da tutto ciò, prima di acquistare o affittare un’immobile, chiedere sempre la consulenza di un tecnico abilitato per una valutazione dell’abitabilità della casa. Allo stesso tempo, verificare la superficie catastale che vi è indicata nell’atto di compravendita o di locazione in modo tale da esser certi che sia sempre tutto a norma.
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Quanto deve essere minimo un monolocale?
Dopo aver effettuato una panoramica generale sui metri quadri minimi per abitabilità, adesso ci concentriamo invece sulla dimensione minima di una abitazione come il monolocale. Come già accennato in precedenza, una casa del genere può avere una superficie non inferiore a 28 metri quadri per una persona e non inferiore a 38 metri quadri per due persone.
Secondo l’articolo 3 del decreto ministeriale del 5 luglio 1975, un monolocale deve rispettare determinati requisiti, soprattutto in termini di altezza:
2,40 m per corridoi, disimpegni, bagni e ripostigli;
2,70 m per tutti gli altri ambienti della casa.
Tale regola è valida in tutta Italia, tranne che per i Comuni al di sopra dei 1000 metri sul livello del mare. In questo caso, le mura possono arrivare a 2,55 m per due particolari motivi:
condizioni climatiche;
particolare tipologia edilizia.
Inoltre, a partire dal 2015 è previsto che, in caso di ristrutturazione con riqualificazione energetica e ristrutturazione con riqualificazione in cui sia prevista l’installazione di pavimenti o soffitti radianti, l’altezza minima interna possa diminuire fino a 2,60 m.
Quindi, un monolocale inferiore a 28 m2 sarebbe impossibile trovarlo? Secondo l’articolo 3 del decreto ministeriale del 5 luglio 1975 un appartamento del genere non sarebbe rispettoso dei requisiti minimi previsti dalla legge.
Superficie minima di un monolocale: è lorda o netta?
Il seguente dubbio si chiarisce con grande facilità: quando si parla di superficie, si intende netta ovvero calpestabile. Così come ci si pone la domanda: dal punto di vista dell’abitabilità, un monolocale da 20m2 è ammissibile? Il Decreto Ministeriale 5 luglio 1975 è molto chiaro in tal senso, non vi è ammesso anche se esistono delle eccezioni come:
monolocali accatastati come C/2 (magazzini): in questo caso, bisogna richiedere l’autorizzazione al Comune;
monolocali in edifici storici: in questo caso, vi sono forti limitazioni per la ristrutturazione dell’immobile.
A prescindere da tutto ciò, vivere in un monolocale di 20 m2 potrebbe non essere la soluzione migliore dal punto di vista del comfort.
Quando un locale è considerato abitabile?
Trovare la casa dei sogni è il desiderio di molti. Prima di firmare il contratto di affitto o il rogito per il mutuo, è fondamentale considerare un aspetto: l’abitabilità di cui abbiamo già parlato poc’anzi. Molto importante è l’articolo 5 del Decreto Ministeriale 5 luglio 1975, che si riferisce all’ambito igienico sanitari da verificare e che riguardano i seguenti punti:
ricambio d’aria adeguato;
illuminazione naturale diretta.
Dopo tutto l’excursus fatto, è anche normale chiedersi ad esempio quanti m2 deve essere una casa per due persone? Una domanda lecita, che si può porre anche chi ha una famiglia o vive da solo, ampliando così le soluzioni.
Per questo motivo, è consigliabile leggere la tabella di seguito. Nel caso di alloggi con varie stanze, le superfici minime da rispettare sono le seguenti:
ABITANTI
m2
1 abitante
14 m2
2 abitanti
28 m2
3 abitanti
42 m2
4 abitanti
56 m2
Nel caso invece di un monolocale, le superfici sono:
ABITANTI
m2
1 abitante
28 m2
2 abitanti
38 m2
Tenendo conto che la superficie minima abitabile per persona in una residenza italiana è di 14 metri quadri, si può fare modo di poter effettuare una valutazione più precisa dell’immobile, anche se è sempre consigliabile chiedere un consiglio ad un esperto del settore.
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Quanti metri quadrati deve essere un appartamento per 4 persone?
Quando si è in quattro persone è normale cercare una casa confortevole e che possa rispondere alle esigenze di tutti. Trovare però la giusta soluzione tra comfort e funzionalità non è per niente semplice. Inoltre, bisogna tener conto di diversi fattori come la superficie abitabile e la disposizione degli spazi. Secondo il decreto ministeriale del 5 luglio 1975, la superficie minima per un appartamento di 4 persone sarebbe di 56 metri quadri.
Certo, bisognerebbe tener conto delle esigenze delle singole persone e già avere le dimensioni del soggiorno di 14 m2 è un qualcosa di importante per le attività comuni di una famiglia. Stesso discorso per una camera matrimoniale da 12 o 14 m2: una piccola differenza che può garantire un grande comfort.
Molte famiglie italiane non possono permettersi l’acquisto di una casa, tanto che non provano nemmeno di accedere al credito, certi di ricevere un rifiuto. Così, il 60% dei potenziali acquirenti vira sulla ricerca di un’abitazione in affitto, in un contesto tutt’altro che semplice, che deve fare i conti con un’erosione sostanziale del mercato della locazione. Sono le principali istantanee che emergono dal 17° rapporto sull’Abitare di Nomisma, in collaborazione con Confindustria e con il supporto di Crif, presentato il 7 novembre presso la sede romana della Confederazione generale dell’industria italiana.
Il consueto rapporto sull’Abitare di Nomisma, oltre a fornire preziosi dati sul mercato immobiliare, restituisce anche una fotografia delle difficoltà non solo economiche, ma anche sociali che vengono scaturite dalla difficoltà ad accedere ad alloggi adeguati. Una situazione sempre più emergenziale che oramai non può più essere ignorata dalle istituzioni e dai player di mercato.
Negli ultimi anni, come sottolinea il 17° rapporto sull’Abitare, l’inflazione ha eroso il reddito delle famiglie italiane, che tanto che in 3 casi su 5 risulta inadeguato o appena sufficiente per far fronte alle necessità. Le capacità finanziarie si riducono, mentre aumentano le difficoltà di acquisto di casa, soprattutto le famiglie unipersonali e quelle più numerose, così come le difficoltà a sostenere canoni di locazione investiti da un trend di crescita più sostenuto rispetto ai prezzi.
Anche per questa situazione, il clima di fiducia degli italiani rispetto alla situazione generale restituisce un’intonazione meno positiva rispetto all’indagine del 2023. Nel dettaglio, le componenti del clima di fiducia delle famiglie restituiscono giudizi più favorevoli sulla sicurezza lavorativa personale e sulla disponibilità delle banche a concedere credito, mentre al contempo peggiorano le valutazioni rispetto alle prospettive di crescita del Paese e alle ricadute economiche e sociali dovute al perdurare dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Si conferma, come fanalino di coda, anche quest’anno, la fiducia rispetto alla credibilità dei partiti.
I dati del report: compravendite e affitti
Il report sottolinea come l’interesse delle famiglie nei confronti della casa rimane saldo, l’abitazione continua a essere considerata non solo come un luogo dove vivere, ma anche come opportunità di investimento. Ma leggendo con attenzione i dati si evince che, a fronte di 3 milioni di famiglie che nei prossimi 12 mesi dichiarano un interesse all’acquisto, le condizioni per concretizzare la compravendita non sempre sono accessibili, al punto che – secondo Nomisma – la “domanda reale” vede coinvolte 980.000 famiglie, un numero elevato se confrontato con le 700.000 compravendite di abitazioni previste a consuntivo dell’anno 2024.
Allo stesso tempo, però, è in aumento anche la quota di famiglie in locazione che considera l’affitto come unica soluzione possibile dell’abitare, in considerazione della mancanza di risorse per accedere alla compravendita, tanto che in un solo anno si è passati dal 56% al 59,3%. Il Rapporto sull’Abitare di Nomisma registra che la percentuale di famiglie che ha fatto ricorso alla locazione per un periodo superiore a sei mesi è scesa dal 5% del 2023 al 3,3% del 2024, attestandosi al di sotto dei livelli pre pandemici.
Anche in prospettiva la domanda risulta in calo, non tanto per un minore interesse quanto per un’offerta inadeguata rispetto alle richieste, che contribuisce a sottrarre dal mercato quote di domanda potenziale.
Al contempo, l’indagine conferma la presenza di due diversi e distinti orientamenti: il primo considera l’affitto una scelta motivata da esigenze familiari e lavorative (rappresentativa di una famiglia su quattro tra quelle in locazione); il secondo, che riguarda la maggioranza delle famiglie, considera l’affitto una soluzione temporanea oppure obbligata perché non sussistono le condizioni economiche per accedere al mercato della compravendita.
Il mercato dei mutui
Il report si concentra con attenzione sulla capacità finanziaria delle famiglie, intercettando quei segnali di miglioramento che riguardano la percezione delle famiglie rispetto alla propria condizione economica e reddituale. In questo contesto, risulta in diminuzione la percentuale di famiglie che intendono perfezionare l’acquisto di casa ricorrendo a un mutuo: sebbene tale percentuale rimanga ancora molto elevata, passa dal 77,9% del 2023 al 75,6% del 2024 a fronte di una tendenza all’autoselezione da parte delle famiglie stesse.
Nel primo trimestre 2024 – sempre secondo i dati diffusi con il rapporto – oltre all’attesa flessione del numero di compravendite con mutuo (-15,1%), si è assistito per la prima volta dopo alcuni anni anche ad una lieve diminuzione degli acquisti non sostenuti da credito (-2,9%). Nel secondo trimestre si è tuttavia manifestata un’inversione di tendenza, con un risultato positivo, pari a +3,9%, per le transazioni sostenute da mutuo. Sono ancora in lieve calo, invece, quelle non sostenute da credito.
In termine di importi, il volume erogato per il finanziamento di nuovi mutui nel 2023 si era assestato intorno ai 41 miliardi di euro, scontando una flessione annua del -25,4%. Il primo semestre 2024, con 19,8 miliardi di euro, vede una forte attenuazione del calo su base tendenziale (-4,9%) e congiunturale (-3%).
Nel complesso le percezioni degli operatori confermano un progressivo allentamento dei criteri di offerta sui finanziamenti alle famiglie adottati dalle banche nel corso del 2024 relativamente all’acquisto di abitazioni. Il Rapporto fornisce anche una vista aggiornata della quota di nuclei che dichiara di avere difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo, che oggi si attesta al 4,3% contro il 6% del 2023 e il 7,5% del 2022.
Contemporaneamente, diminuisce anche la quota di famiglie che teme di poter incontrar difficoltà nel pagamento della rata del mutuo nei prossimi 12 mesi. Questo dato non rappresenta una dimensione della reale impossibilità di ripagare regolarmente le rate quanto, piuttosto, il timore di non riuscire a far fronte agli impegni assunti.
Il commento degli esperti
Alla presentazione del 17° Rapporto sull’Abitare era presente anche il direttore del Centro Studi di Confindustria, Alessandro Fontana, che ha fornito un punto di vista molto interessante: “Spesso problema dell’abitare è dato dallo squilibrio tra mercato immobiliare e mercato del lavoro, non sempre i prezzi adeguati ai salari e spesso la domanda di lavoro non viene soddisfatta, il che rischia di impedire di creare mobilità di lavoratori non solo interna, ma anche esterna”.
Luca Dondi, consigliere esecutivo di Nomisma, ha posto l’accento sulla centralità dell’housing: “La casa è diventata ormai un elemento centrale per la crescita del Paese, sia in termini di inclusività che di competitività. Anche Confindustria è approdata a questa consapevolezza, la casa è un vero e proprio è fattore di produzione e su di essa si gioca una parte importante della competitività del Paese”.
Per Dondi è necessario “lavorare sull’accessibilità alla casa, altrimenti non avremo la forza lavoro da investire nel settore. Anche l’università è un tema connesso, se gli studenti non hanno accesso ad affitti sostenibili, tutto questo si ripercuote sulle scelte delle università. Oggi la casa rappresenta un ostacolo che induce a differire scelte che potrebbero essere più mature di quanto pensiamo, che portano giovani famiglie a pensare che non possono permettersi un figlio al livello economico”.
Inoltre, Dondi aggiunge anche che “i dati sui rifiuti bancari sono fuorvianti, spesso c’è una domanda non manifesta, perché si è consapevoli di non potervi accedere. Dovrebbe esserci un’ansia spasmodica di recuperare al mercato della locazione parte del patrimonio abitativo che oggi è in mano ai proprietari, abbiano una straordinaria disponibilità in mano ai proprietari che però non trovano sbocco sul mercato. Una parte residuale finisce nel mercato degli affitti brevi e un’altra rimane in mano ai proprietari perché non ci sono meccanismi di fiducia verso la locazione”.
Per Dondi ci troviamo di fronte a un paradosso: “la domanda per gli affitti è a massimi storici, i dati sulla morosità sono in miglioramento, ma ci troviamo a fare i conti con la riduzione numero contratti di locazione abitativa, la domanda monta e l’offerta langue e questo dipende dall’attitudine dei proprietari. Credo che l’approccio muscolare non paghi, si parla di limitare gli affitti brevi ma non dedichiamo energie a immaginare iniziative di defiscalizzazione, andrebbero introdotte garanzie per la proprietà privata che deve tornare a essere uno dei pilastri di mercato della locazione”.
Al termine della presentazione del report, è andato in scena un talk a cui hanno partecipato Francesca Brunori (Direttore Area Credito e Finanza Confindustria), Carlo Cerami (Vice Presidente per la Residenza e la Rigenerazione urbana Assoimmobiliare), Andrea Cuccello (Segretario Confederale Politiche Abitative CISL), Simone Gamberini (Presidente Legacoop Nazionale e Copresidente Alleanza delle Cooperative italiane) e Andrea Tobia Zevi (Assessore al patrimonio e alle politiche abitative Comune di Roma).
Dal dibattito è emerso un punto condiviso da tutti i partecipanti: la necessità di un partenariato pubblico-privato, innescando un processo che tenga in considerazione anche la necessità di garantire una redditività ai players. Il tutto supportato da politiche per indurre soggetti che hanno patrimonio da investire, per puntare sulla costruzione di edifici a canone accessibile. In questo contesto, la direttiva sulle case green può essere una spinta anche per la rigenerazione urbana.
In Europa attenzione al livello dei dazi, possibili conseguenze per i mutui in Italia
Manca l’ufficialità, ma ormai è praticamente fatta: Donald Trump si avvia ad iniziare il proprio secondo mandato, diventando il 47° Presidente Usa, e il partito repubblicano ha ottime probabilità di primeggiare ampiamente anche al Congresso. La sconfitta di Kamala Harris e del partito democratico, dopo gli anni della contestata presidenza Biden, potrebbe cambiare sostanzialmente gli scenari mondiali, a partire dalla situazione geopolitica legata ai conflitti in corso per finire con l’economia e i mercati, data la politica di dazi ventilata nel programma repubblicano. Cosa accadrà allora ai mercati e all’economia globale con la vittoria di Trump? I commenti degli esperti.
Come sempre accade, i mercati finanziari hanno premiato l’uscita dall’incertezza elettorale in Usa e hanno aperto in rialzo. Le Borse europee sono positive (Ftse Mib +0.79 per cento alle ore 9.15) in sintonia con i future su Wall Street, che prevedono un’apertura in rialzo di oltre un punto e mezzo.
Volano inoltre le quotazioni del dollaro, a scapito dell’oro, che solitamente va in direzione opposta essendo il bene rifugio alternativo alla valuta; se la moneta americana si è rafforzata contro l’euro a quota 1,073 (contro gli 1,0877 della chiusura di ieri) e il cross dollaro/yen è salito a 153,74, contro i 152,26 della chiusura precedente, il metallo giallo perde terreno a quota 2.724,5 dollari l’oncia, in calo dello -0,71%.
Vince Trump, vola il bitcoin
Buone notizie per chi ha investito in Bitcoin, che nell’entusiasmo elettorale Trump ha annunciato voler valorizzare, dichiarando di voler fare dell’America “la capitale cripto del mondo”. Le quotazioni della valuta virtuale sono volate dell’8,6 per cento superando la soglia dei 75.000 dollari, giungendo al livello record di 75.120.
Il bitcoin è stato una parte importante della campagna elettorale di Trump, che ha ottenuto in questo modo il sostegno di alcuni dei più importati esponenti dell’industria cripto come i gemelli Tyler e Cameron Winklevoss, fondatori di Gemini, Jesse Powell, fondatore di Kraken e anche David Bailey, CEO di Bitcoin Magazine.
Cosa succederà ora al Bitcoin? Secondo la fin-tech italiana CheckSig, “è lecito aspettarsi una graduale istituzionalizzazione per Bitcoin e altre cripto. Pur facendo la tara alla demagogia da campagna elettorale, è lecito aspettarsi che le promesse fatte vengano mantenute. Nonostante le aperture significative che erano state fatte da Kamala Harris, la situazione attuale è la più favorevole al mondo cripto mai visto finora. Ci si aspetta quindi che il governo americano, nei prossimi 4 anni, investa su Bitcoin introducendo norme che portino all’istituzionalizzazione dei crypto-asset e favoriscano gli investimenti in questa asset class. Trump non ha fatto mistero di voler licenziare Gensler, l’attuale presidente della Sec, per dare impulso ad una regolamentazione più aperta che verrà accolta con positività dai mercati spingendo Bitcoin verso nuovi massimi”.
Il programma di Trump e gli effetti sull’economia
Con la vittoria di Donald Trump, gli effetti del suo programma elettorale si faranno inevitabilmente sentire sull’economia globale, date le ripercussioni delle politiche fiscali proposte su tassi di interesse, dazi e crescita Usa (e, di conseguenza, mondiale).
Crescita Usa e politiche economiche globali
“Il programma di Donald Trump conferma riduzione delle aliquote fiscali per le società, riduzione dell’aliquota marginale sulle persone fisiche e nessun aumento dell’imposizione sulle plusvalenze, – ricorda Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer, UBS WM Italy, UBS Europe SE, Succursale Italia. – Alcuni incentivi dell’IRA potrebbero essere cancellati e la supervisione regolamentare ridotta, a vantaggio soprattutto del settore petrolifero e di quello finanziario. L’impatto macroeconomico del programma repubblicano potrebbe essere positivo per il prodotto interno lordo (PIL), ma la combinazione di minor tassazione, meno immigrazione e più dazi potrebbe risultare inflattiva, allontanando i tagli dei tassi d’interesse. Tuttavia, deficit più alti e tensioni commerciali potrebbero indebolire il dollaro, come auspicato dallo stesso Trump per favorire la manifattura statunitense. La conferma degli sconti fiscali per le aziende avrebbe un impatto positivo iniziale per la borsa, così come la promessa di una minor regolamentazione per alcuni settori. Quanto al protezionismo, Trump favorisce i negoziati bilaterali e ha proposto dazi universali del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti e del 60% su quelle provenienti dalla Cina”.
“Il ciclo economico non cambierà il 6 novembre, il giorno dopo le elezioni, – avverte Karsten Junius, Chief Economist di J. Safra Sarasin. – Tuttavia, il mix di politiche potrebbe prendere una strada diversa. In caso di vittoria dei repubblicani, lo scenario prevede una riduzione delle tasse, una maggiore deregolamentazione, politiche di immigrazione più restrittive e la probabile implementazione di tariffe su vasta scala, che porteranno a un aumento delle aspettative di inflazione, a un incremento significativo dei deficit di bilancio, ma anche a una maggiore incertezza politica. I mercati probabilmente prezzerebbero un ciclo di tagli dei tassi della Fed più breve e un premio a termine più alto per tenere conto dell’incertezza aggiuntiva, riflettendo anche un potenziale scontro tra politica fiscale e monetaria. Inoltre, le prospettive di un aumento dei dazi dovrebbero colpire in particolare le valute europee e dei Paesi emergenti, data la loro dipendenza dal commercio internazionale. Una vittoria repubblicana potrebbe inizialmente essere vista come la più favorevole per gli utili statunitensi e portare il mercato USA a sovraperformare il resto del mondo. I dazi doganali saranno un fattore di rischio, ma soprattutto per i titoli azionari al di fuori degli Stati Uniti. Per quanto riguarda i settori, ci aspettiamo che gli industriali, i servizi di comunicazione e i beni di consumo discrezionali traggano i maggiori vantaggi dalla riduzione delle imposte, mentre i tassi d’interesse più elevati, la riduzione della regolamentazione e il miglioramento delle attività di M&A favoriranno probabilmente i titoli finanziari. L’energia dovrebbe beneficiare di processi di approvazione più rapidi, ma se ciò dovesse portare a una maggiore produzione di petrolio e gas e a prezzi più bassi, l’impatto effettivo sulla performance è più ambiguo. I servizi petroliferi sono il nostro segmento preferito dello spazio energetico, in quanto probabilmente beneficerebbero della costruzione di infrastrutture petrolifere”.
Pimco fornisce un dettagliato scenario di quanto accadrà all’America con il nuovo mandato di Trump nel seguente grafico:
Tassi di interesse Fed
Secondo Alessio Garzone, Senior analyst di Gamma Capital Markets, “un risultato netto a favore di Trump potrebbe comportare una politica fiscale espansiva, con tagli fiscali e misure di deregolamentazione mirate a stimolare la crescita economica. Questo potrebbe tradursi in una spinta iniziale per i mercati azionari, ma anche in pressioni inflazionistiche più elevate. La Federal Reserve, in risposta, potrebbe mantenere una politica monetaria più restrittiva per contenere l’inflazione, limitando la portata dei tagli dei tassi previsti”.
Non condivide la possibilità di conseguenze sulla politica monetaria della Fed,almeno nell’immediato, IG Italia, secondo cui “nel breve periodo fino a fine 2024 non ci dovrebbe essere alcun impatto. Nel medio/lungo periodo il discorso è ben diverso soprattutto in caso di una vittoria di Donald Trump e di un successo dei repubblicani al Congresso (il cosiddetto scenario “Red Wave”). Con uno sweep repubblicano, Donald Trump potrà mantenere le promesse fatte in campagna elettorale con una politica fiscale ultra-espansiva e una politica commerciale protezionistica con l’introduzione di nuovi dazi. Tali misure dovrebbero alimentare nuovamente le pressioni inflazionistiche complicando il lavoro della FED che potrebbero essere meno dovish rispetto a quello che prevede il mercato. Non possiamo inoltre escludere che Donald Trump (come era già successo durante la sua amministrazione 2017-2020) possa fare pressioni sulla Federal Reserve per avere tassi di interesse molto bassi”.
Il programma di Trump e le conseguenze su lavoro, dazi e petrolio
Mentre gli investitori tengono d’occhio il rischio dei dazi, l’aspetto più inflazionistico del programma di D. Trump è la sua volontà di ritirare milioni di lavoratori immigrati dal mercato del lavoro, già sotto pressione. A parere di Michael Nizard, portfolio manager di Edmond de Rothschild AM, “Il rapporto tra posti di lavoro aperti e lavoratori disoccupati è ancora superiore a 1 e probabilmente aumenterà ancora se questa politica verrà attuata, contribuendo a sostenere gli aumenti salariali e quindi l’inflazione sottostante. Anche la guerra commerciale di Trump contro la Cina (tassa del 60% su tutti i prodotti) e il resto del mondo (tassa universale del 10% su tutti i prodotti) potrebbe alimentare una nuova ondata di inflazione. Storicamente, i dazihanno sempre portato a un aumento dei prezzi dei prodotti interessati, anche durante l’episodio del 2018-2019, con la differenza che l’economia statunitense ha ora una capacità molto maggiore di generare inflazione. Tutti questi fattori metteranno probabilmente in discussione il successo della Fed nel controllo dell’inflazione e potrebbero indurla a rallentare l’attuale allentamento monetario.
Infine, la tendenza al ribasso del petrolio è destinata ad accelerare, indebolita dalla determinazione del nuovo Presidente degli Stati Uniti ad aumentare la produzione di petrolio statunitense. L’impatto non sarà diretto, in quanto i produttori statunitensi rimangono principalmente guidati dall’obiettivo di generare maggiori rendimenti per gli azionisti, ma l’abolizione degli standard ambientali e delle autorizzazioni a trivellare sui terreni federali dovrebbe avere un effetto marginale di rialzo sulla produzione. Ciò potrebbe far precipitare ulteriormente i prezzi del petrolio, poiché l’OPEC potrebbe decidere di reagire con una guerra dei volumi per evitare di perdere ulteriori quote di mercato”.
Elezioni Usa, le conseguenze per l’Europa e la situazione geopolitica
Per l’Europa, le implicazioni della vittoria di Trump saranno piuttosto forti. Secondo Elliot Hentov, Head of Macro Policy Research di State Street Global Advisors, “Partendo dalle implicazioni sul dollaro, un’elezione di Trump dovrebbe portarne a un apprezzamento. Se i repubblicani dovessero vincere anche al Congresso, ci aspetteremmo un sorpasso decisivo del dollaro. In base alla natura della guerra commerciale tra USA e UE, il rafforzamento del dollaro potrebbe essere positivo o negativo. Se l’Europa riuscisse a trovare un accordo sul fronte commerciale all’inizio dell’amministrazione, i benefici di un euro più debole sarebbero dominanti. L’elezione di Harris avrebbe rappresentato sostanzialmente una continuità per le relazioni economiche europee con gli Stati Uniti. Lo stesso vale per la geopolitica, dove Harris avrebbe continuato semplicemente le politiche di Biden. In questo ambito, Trump rappresenterà invece un grande cambiamento. Nel breve termine, probabilmente contribuirà a mitigare il conflitto in Ucraina. Questo potrebbe essere positivo dal punto di vista del sentiment e della percezione del rischio. Tuttavia, ciò sarebbe accompagnato da una maggiore richiesta di spesa fiscale in Europa per la difesa e il sostegno all’Ucraina. Per alcuni Paesi, questo potrebbe aggiungere ulteriori pressioni sul bilancio, ma anche rappresentare una forza per l’integrazione dell’UE, in quanto il debito comune potrebbe tornare a essere un meccanismo privilegiato”.
C’è però anche chi crede che la vittoria di Trump non intaccherà l’andamento economico europeo. “La fiducia dei consumatori si sta riprendendo in Europa e anche in Italia – dove è al di sopra del trend storico – i consumatori inizieranno a risparmiare di meno in un mercato del lavoro in salute e questo significa che in Europa ci saranno più consumi, spingendo la crescita della regione. Questo trend è già iniziato nel terzo trimestre e credo che sarà una tendenza del prossimo anno, – fa notare Ignacio de la Torre, Capoeconomista, Arcano Partners. – La vittoria di Donald Trump, infatti, non cambia questo scenario perché qualsiasi dazio sui beni europei verrà imposto in maniera graduale e non è comunque destinato ad avere un effetto significativo sull’Europa a livello macro: in percentuale del PIL l’impatto delle esportazioni europee negli Stati Uniti è infatti molto limitato – 0,9% netto e circa 3% lordo – rispetto a quello dei consumi che è del 52%, quindi 15 volte di più. I cambiamenti all’outlook del Vecchio Continente saranno dunque molto più limitati di quanto si pensi: anche perché una cosa è ciò che si promette e una cosa è ciò che si realizza e crediamo che molte delle promesse di Trump non saranno realizzate o saranno ridimensionate e questo sarà evidente già in occasione delle elezioni di mid-term.
Vittoria di Trump, conseguenze in Italia
Sebbene sia difficile valutare quali possano essere le conseguenze in Italia della vittoria di Donald Trump, c’è un ambito su cui la cosa potrebbe avere effetti, e sono i tassi dei mutui. Secondo gli esperti di Facile.it, l’elezione di Trump potrebbe portare ad un incremento delle pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti e quindi costringere la FED, la Banca Centrale Americana, ad abbracciare una politica più restrittivamoderando il ritmo dei tagli dei tassi intrapreso negli ultimi mesi. Una scelta che, se si realizzasse, potrebbe avere effetti anche sui mercati europei e, a cascata, sui tassi dei mutui italiani, in particolare i fissi, che potrebbero tornare a crescere.
Si tratta di una logica di mercato: l’eventuale scelta della FED di rallentare con il taglio dei tassi comporterebbe un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato americani, che diventerebbero così ancora più appetibili rispetto a quelli europei. Questo comporterebbe una fuga di capitali verso gli USA con l’effetto di aumentare le vendite, e quindi i rendimenti, dei titoli obbligazionari europei, e con inevitabili ricadute anche sugli IRS, gli indici di riferimento per i mutui a tasso fisso italiani.
Se l’IRS dovesse aumentare, quindi, anche i tassi dei nuovi mutui salirebbero. A riprova del fatto che questo sia uno scenario tutt’altro che remoto, già da qualche giorno è possibile notare come il mercato obbligazionario europeo (ad esempio l’ETF Euro Government Bond 15-30yr) stia vedendo, trainato dai titoli di Stato americani, un aumento dei propri rendimenti, con i primi movimenti rialzisti anche per gli IRS.
Conoscevi l’erica? Questa pianta è molto popolare per chi vuole un balcone fiorito durante l’autunno e l’inverno.
L’erica è una pianta molto apprezzata per la sua capacità di fioriredurante i mesi più freddi. I suoi fiori, che spaziano dal bianco al rosa e al viola, offrono un tocco di colore vivace a giardini e balconi anche nei periodi più grigi dell’anno. Per coltivare l’erica al meglio, però, è importante seguire alcuni consigli, in modo da garantirti una fioritura rigogliosa durante gli anni.
L’erica è definibile come una pianta da sottobosco, quindi è perenne ed è coltivabile durante tutto l’anno, anche se potrebbe andare in sofferenza con freddo o caldo eccessivo. Per coltivarla è fondamentale scegliere un terreno adatto. L’erica, infatti, predilige un suolo acido, ben drenato e ricco di sostanze organiche. Un terreno con un basso pH, ad esempio mischiato con sabbia, è ideale per favorire la crescita della pianta. Assicurati di evitare terreni troppo calcarei, poiché potrebbe avere conseguenze negative sulla fioritura.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è l’esposizione alla luce solare. Questa pianta ama la luce indiretta, quindi è meglio posizionarla in un luogo dove riceva sole al mattino o al tardo pomeriggio. Visto il suo habitat d’origine anche l’irrigazione è da tenere sott’occhio, in quanto il terreno dovrebbe essere umido, per simulare l’ecosistema del sottobosco, ma non eccessivamente bagnato.
Quando piantarla?
La scelta del momento giusto per piantare l’erica può fare la differenza sulla bellezza della fioritura. Generalmente, l’erica è un fiore da piantare in autunno, quando le temperature iniziano a calare ma il terreno è ancora caldo. Questo permette alle radici di stabilirsi prima dell’arrivo del freddo invernale.
Curare l’erica in vaso in inverno
Coltivare l’erica in vaso richiede alcune attenzioni particolari durante i mesi invernali. Sebbene l’erica sia una pianta resistente, è importante posizionare i vasi in un luogo riparato dal vento e dalle gelate, in quanto con temperature che scendono sotto lo zero la pianta potrebbe appassire.
Durante la stagione più fredda, questa pianta andrebbe poi irrigata solo 2 o 3 volte ogni mese, utilizzando acqua piovana o senza minerali, per non modificare eccessivamente il pH del terreno.
La cura in estate
Prima che inizi il ciclo della fioritura è importante fare una piccola potatura, tagliando a metà i rami che hanno prodotto fiori. Con l’arrivo dell’estate, poi, bisogna irrigare il terreno più spesso (2 o 3 volte alla settimana) ed evitare di mettere le piante in una posizione eccessivamente soleggiata.
Perchè l’erica si secca?
Uno dei problemi comuni nella coltivazione dell’erica è il suo disseccamento, che può essere causato da diversi fattori. Ma come capire se l’erica è morta? In genere, se noti che le foglie diventano marroni e cadono facilmente, potrebbe esser un importante segno di sofferenza.
Tra le cause principali del disseccamento dell’erica vi sono l’eccessiva esposizione al sole, un’irrigazione inadeguata e un terreno non adatto. Un’esposizione prolungata al sole diretto, infatti, può stressare la pianta, abituata a ricevere relativamente poca luce solare. Inoltre, un terreno troppo calcareo o povero di sostanze organiche può influire negativamente sulla crescita dell’erica.
Utilizza un suolo acido e ben drenato per favorire la rigogliosità della pianta. Se noti segni di disseccamento, controlla anche la presenza di parassiti o malattie che potrebbero ripercuotersi sulla salute della tua erica.