Cosa si mangia a Natale in Italia da Nord a Sud

Ogni regione italiana ha le sue tradizioni a tavola per la cena della Vigilia o il pranzo di Natale: ecco le principali ricette.

Quando si avvicina il periodo natalizio, l’Italia si mette a tavola. Sono molte le tradizioni culinarie che riflettono la ricchezza culturale e gastronomica del Paese. Ogni regione, con le sue peculiarità e i suoi sapori, contribuisce a diversificare i piatti tipici delle feste di Natale. Scopri, allora, quali sono i principali cibi natalizi nelle diverse regioni italiane.

  1. Cosa si mangia al Nord a Natale
  2. I piatti tipici del Centro Italia a Natale
  3. Cosa si mangia a Natale al Sud
  4. Le tradizioni di Natale in Sicilia e Sardegna
  5. Cosa mangiano le famiglie italiane a Natale?

Cosa si mangia al Nord a Natale

La cucina delle varie regioni del Nord è molto diversificata e, salvo alcune eccezioni, il pranzo di Natale è principalmente a base di carne. Il Piemonte, offre, ad esempio, il bollito misto, ma anche il vitello tonnato, gli agnolotti del plin come primo immancabile e un ottimo brasato al barolo. Salendo un po’ più a Nord, verso la Valle d’Aosta, sono invece più popolari le zuppe e il buonissimo Lardo di Arnad.

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Vitello tonnato – cyclonebill from Copenhagen, Denmark, CC BY-SA 2.0Wikimedia commons

In Lombardia le paste ripiene sono le protagoniste della tavola: molto popolari sono i tortelli di zucca, soprattutto a Mantova e dintorni, o i casoncelli alla bergamasca. Il dolce tipico è naturalmente il panettone, simbolo del Natale a Milano.

Il Veneto è una regione molto vasta e, per questo, i piatti tipici cambiano da zona a zona. In linea di massima sono molto popolari i piatti di pesce (di mare o d’acqua dolce). In particolare, sono immancabili le sarde in saor o il baccalà alla vicentina. Il quadro del Nord-Est si completa con l’ottima cucina del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia. Nel primo caso sono immancabili i canederli o il gulash alla trentina, nel secondo gli gnocchi di Montasio, gli stufati e la Gubana, un dolce ripieno di noci, uvetta e pinoli.

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Baccalà alla vicentina – Palickap, CC BY-SA 4.0 Wikimedia commons

Infine la Liguria, regione bagnata dal mare che, però, preferisce piatti di carne per Natale. I ravioli al tocco e i Natalini in brodo di cappone sono imperdibili. Per secondo, invece, spazio al pandolce e ai ravioli con ripieno di marmellata.

I piatti tipici del Centro Italia a Natale

Scendendo verso il Centro Italia è impossibile non menzionare l’Emilia-Romagna, rinomata per la sua gastronomia ricca e variata, che durante il periodo natalizio si arricchisce di piatti tradizionali da scoprire e assaporare. La regione è conosciuta per l’ottima offerta di primi piatti, come ad esempio tortellini e cappelletti, ideali per scaldarsi anche quando fa freddo.

Tortellini in brodo popolarissimi anche in Toscana, che per secondo preferisce arrosto misto o, per le zone vicino al mare, il cacciucco di pesce. Da mare a mare si arriva nelle Marche, dove il cappone è utilizzato per primo e per secondo. Tartufo e olive all’ascolana sono invece protagonisti dell’antipasto.

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Cacciucco – Haydn Blackey from Cardiff, Wales, CC BY-SA 2.0Wikimedia commons

Ricchissima anche la gastronomia umbra, dove si combatte il calo delle temperature con robusti sughi di cinghiale o di carne in generale. Ma cosa si mangia il 25 dicembre? Popolari gli spaghetti alla nursina, le costolette panate o cacciagione. Per concludere il pranzo, non può assolutamente mancare il Panpepato.

Da nord a sud, il Lazio ha tradizioni gastronomiche molto radicate per Natale e per le festività in genere. Le materie prime non mancano e, per questo, realizzare le ricette tradizionali sarà semplice. Come antipasti vince il baccalà in umido o fritto. Per primo, invece, c’è chi punta sulla carne, con i cappelletti in brodo di cappone o sul pesce, con spaghetti alle vongole. Parlando di secondi, è popolarissimo l’abbacchio al forno, ma anche la frittura di pesce, soprattutto alla vigilia. 

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Tortellini – Nerodiseppia, CC BY-SA 3.0 Wikimedia commons

Cosa si mangia a Natale al Sud

La cena della Viglia e il pranzo di Natale sono momenti molto importanti da trascorrere in famiglia. Ma cosa si mangia al Sud? Il menu della tradizione campana prevede tantissimi antipasti, come ad esempio la pizza di scarola. Fra i primi bisogna menzionare gli spaghetti con le vongole e, per secondo, pesce fritto come alici, capitone o baccalà. A Napoli, invece, ampio spazio da dedicare ai dolci tipici, con struffoli, roccocò e mostacciuoli. Per il pranzo di Natale, invece, si punta su piatti a base di carne, come una minestra di verdure, pasta al forno, lasagna o sartù di riso.

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Struffoli – Steve-081, Public domainWikimedia commons

Anche in Abruzzo si mangia tendenzialmente pesce alla vigilia e un rinfrancante brodo di carne il giorno di Natale. Nel vicino Molise, invece, si va dalla zuppa di triglie ai maccheroni al cavolfiore, concludendo con la cicerchiata per dolce. 

In Basilicata è centrale la frittura, principalmente di pesce, mentre fra i primi da mettere a tavola a Natale sono immancabili gli strascinati al ragù. Il tutto, naturalmente, all’insegna di un buon peperone crusco.

Spostandosi in Puglia, dove la vicinanza al mare si sente molto nel menu tipico. A Bari non mancano i fritti e i crudi di pesce, mentre nella zona di Lecce è delizioso l’agnello al forno con patate. Mettono tutti d’accordo le cartellate, ovvero un dolce tipico al miele.

Nella terra del peperoncino, ovvero la Calabria, un ruolo centrale è ricoperto da salumi e formaggi. Per primo non può mancare un ottimo spaghetto con le alici e, a seguire, lo stoccafisso con le patate.

Le tradizioni di Natale in Sicilia e Sardegna

La Sicilia, isola di sole e di mare, è anche terra dove la cucina natalizia affonda le sue radici in una storia ricca. Molto popolare è la pasta al forno (ncaciata), sempre presente la ricotta, il baccalà in pastella fritto e il cosiddetto “falso magro”, ovvero un rotolo ripieno di carne e formaggio.

Naturalmente i dolci ricoprono un ruolo centrale, che cambiano da zona a zona. Da provare il buccellato, dolci con i fichi secchi, la cassata, mostaccioli, e delizie ripiene di crema, ricotta o cioccolato. La cena o il pranzo non può che chiudersi con un ottimo sorso di vino passito.

Imperdibili anche le tradizioni natalizie sarde dove l’abbondanza di materie prime genera l’imbarazzo della scelta. Fra i primi ci sono i ravioli, chiamati in modo differente a seconda della zona, ma anche gli gnocchetti con sugo d’agnello. Per chi non può fare a meno del mare, ottima è la fregola con i frutti di mare. Per secondo, invece, non c’è niente di meglio che condividere un ottimo porceddu.

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Cassata – Dedda71, CC BY-SA 3.0Wikimedia commons

Cosa mangiano le famiglie italiane a Natale?

Chiedersi qual è il piatto tipico di Natale in Italia è davvero difficile, dato che le tradizioni differiscono da regione a regione. Tuttavia, al di là delle differenze territoriali, sono sempre impiegate le materie prime del luogo, come ad esempio salumi, pesce o legumi, come le immancabili lenticchie. In molte regioni è poi popolare carne come cappone, cotechino o zampone.

Tra i primi, le paste ripiene come i tortellini spopolano e per dolce, al di là del torrone e dolci regionali, vige sempre l’eterna lotta fra Panettone e Pandoro, i quali non possono mai mancare in casa.

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Fonte: Idealista.it

Vivere da soli diventa un lusso: l’affitto di un monolocale costa il 33% in più rispetto a una stanza

Vivere da soli è ormai diventato un lusso; sebbene, spesso, spinti dalla ricerca di stili di vita differenti, da una maggiore autonomia e privacy, si decida di cercare casa in affitto da soli, questa scelta non è sempre sostenibile per le tasche di un “single” italiano. Infatti, da uno studio condotto da idealista, portale immobiliare leader per sviluppo tecnologico in Italia, emerge come l’affitto di un monolocale costi il 33% in più rispetto alla locazione di una stanza in un appartamento condiviso con altre persone.

L’affitto medio di una stanza in Italia a novembre è di 450 euro, contro i 600 euro che bisogna mettere in conto per prendere in affitto un monolocale, ovvero il 33% in più. Dal report emerge, inoltre, che entrambe le tipologie immobiliari sono diventate più costose negli ultimi 12 anni: i prezzi dei monolocali sono aumentati del 20%; mentre le richieste dei proprietari di stanze in appartamenti condivisi sono cresciute del 13% in un anno.

Dall’analisi delle 106 province italiane, si evidenzia come siano prevalenti (86) le aree con una maggiore differenza di prezzo tra monolocali e stanze. Le maggiori variazioni spettano a Genova, dove i monolocali costano il 127% in più delle camere, Venezia (111%) e Trieste (100%). Al contrario, Massa Carrara (-13%) è la provincia italiana in cui la differenza di prezzo tra monolocali e stanze favorisce di più quest’ultima tipologia abitativa: i monolocali, infatti, costano il 13% in meno rispetto alle stanze. La stessa dinamica avviene in altre 5 province: Asti (-6%), Crotone (-5%), Torino (-4%), Lodi (-3%) e Alessandria (-2%).

Passando alle due principali province italiane, notiamo come Roma segua la tendenza italiana con un affitto dei monolocali che è superiore del 40% rispetto all’affitto di una stanza; mentre a Milano questa differenza di prezzi si assottiglia: i monolocali costano solo il 9% in più rispetto alle stanze.

Per quanto riguarda i capoluoghi, notiamo come, spesso, non sia possibile confrontare i due prodotti immobiliari (monolocali e stanze), in quanto i monolocali non sono una tipologia comune in molti capoluoghi italiani. Lo stesso avviene per il segmento relativo alle stanze in affitto, la cui offerta è minore nelle città meno attrattive per studenti e giovani lavoratori. La tendenza cittadina segue quella provinciale: in 81 capoluoghi gli affitti dei monolocali superano notevolmente quelli delle stanze. Il divario si fa maggiore a Venezia, dove i monolocali sono più cari del 144%, seguono Pisa (125%), Mantova (100%), Genova (97%), Bari (92%), Bolzano (89%), Cagliari e Firenze (88%). Con una differenza di prezzo pari a oltre il 10% troviamo altri 65 capoluoghi compresi tra l’82% di Catania ed il 13% di Milano e Lecco, le due città con variazioni meno pronunciate. Anche a Roma (47%) lo scarto è elevato e superiore alla media nazionale.

Evoluzione dei monolocali

Genova (86%) è la città dove il prezzo dei monolocali è aumentato di più rispetto allo stesso periodo del 2022. Seguono Trieste (54%), Imperia (43%), Olbia (36%) e Pisa (35%).

Di contro, in 20 città i prezzi dei monolocali sono diminuiti, con i ribassi più forti che si concentrano a Campobasso (-47%), Rieti (-44%) e Trento (-30%). In tutti i grandi mercati cittadini, si registrano aumenti: Torino (18%), Venezia (17%), Napoli (14%), Milano e Palermo (13%), Roma (8%) e Firenze (7%).

Sul fronte dei prezzi, Venezia presenta i monolocali più costosi d’Italia, con una media di 990 euro al mese. La seguono Milano, con 900 euro al mese, Bolzano (850 euro/mese), Bologna (800euro/mese), Firenze (750 euro/mese) e Roma (700 euro/mese).  Le città più economiche per l’affitto di un monolocale sono Campobasso (240 euro/mese) e Cosenza (250 euro/euro).

Evoluzione delle stanze

La città in cui i prezzi delle camere sono cresciuti di più nell’ultimo anno è Padova, con un aumento del prezzo del 60%, seguita da Trieste (57%), Savona e Brescia (in aumento entrambe del 52%) e Bolzano (50%). Tra i grandi centri italiani, i prezzi delle stanze sono in aumento a Roma (36%), Bologna e Cagliari (23%), Venezia (19%), Milano (13%), in linea con la variazione nazionale e Napoli (9%). Torino (-36%) è il capoluogo in cui, mediamente, i prezzi di affitto delle stanze sono calati di più negli ultimi 12 mesi.

Milano è la città più cara in cui affittare una stanza, con 795 euro al mese di media. Seguono Brescia (525 euro/mese) e Roma (475 euro/mese). Mentre, gli affitti delle stanze più convenienti si trovano a Cosenza (170 euro/mese) e Potenza (200/mese).

Fonte: Idealista.it

Case green, le novità della direttiva: cosa prevede l’accordo

Il testo su cui è stata raggiunta l’intesa sarà votato dalla commissione Itre il prossimo 23 gennaio

Giovedì 7 dicembre si è conclusa la trattativa tra le istituzioni europee sulla direttiva europea sulle case green iniziata lo scorso giugno. Parlamento, Consiglio e Commissione Ue hanno raggiunto un accordo provvisorio su un testo relativo alla Energy performance of buildings directive (Epbd), che dovrà essere approvato e poi ufficialmente adottato da Parlamento e Consiglio Ue. Il testo sarà votato dalla commissione Itre il prossimo 23 gennaio.

Sul social network X, la commissaria europea all’Energia, Kadri Simson, ha scritto: “Complimenti al Parlamento e al Consiglio per avere raggiungo un accordo provvisorio sulla Epbd. Non è soltanto una importante cassetta degli attrezzi da utilizzare per le nostre ambizioni climatiche, ma anche un pacchetto di misure concrete per migliorare la vita dei nostri cittadini, abbassare le bollette energetiche e dare una spinta all’economia”.

Case green, gli obiettivi e le date della direttiva Ue

L’obiettivo della nuova direttiva europea sulle case green è tracciare un percorso per raggiungere un parco edifici neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Nell’incontro dello scorso 12 ottobre, durato quasi dodici ore, aveva prevalso una linea più morbida, arrivando all’eliminazione della norma che imponeva l’obbligo di intervenire sugli immobili entro determinate scadenze, mentre nell’incontro del 7 dicembre sono stati decisi gli obiettivi intermedi di risparmio di energia per l’intero patrimonio edilizio dei Paesi membri. 

In particolare, gli Stati dell’Unione europea dovranno garantire che gli edifici residenziali più inquinanti riducano il consumo medio di energia del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035, gli edifici non residenziali del 16% entro il 2030 e del 26% entro il 2033. Il 55% della riduzione energetica dovrà essere raggiunto attraverso la ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori. Entro il 2030, inoltre, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero. Per gli edifici pubblicil’obbligo scatterà a partire dal 2028.

Efficienza energetica

GTRES

Commentando l’accordo provvisorio raggiunto giovedì 7 dicembre, il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha scritto su X: “Sulla proposta di direttiva Ue ‘case green’ siamo arrivati al traguardo. Confedilizia ha cominciato a lanciare l’allarme su questa proposta proprio due anni fa. Per tutto questo periodo ci siamo battuti – tra scetticismo, accuse di ‘negazionismo’, attacchi da parte delle tante categorie interessate ai lavori e qualche ironia di presunti competenti – affinché un’impostazione ideologica e molto pericolosa per l’Italia fosse sostituita da un approccio realistico e di buon senso. La riunione del 7 dicembre ha confermato il cambio di rotta del 12 ottobre. Il risultato, quindi, è stato raggiunto. Bisogna sempre battersi, anche quando ci sono poche speranze di prevalere. Se si prevale, si gioisce. Altrimenti, si è soddisfatti lo stesso. Per essersi battuti”.

Case green, le altre ultime notizie

Il testo della direttiva europea sulle case green ha previsto anche la fine degli impianti di riscaldamento a combustibili fossili entro il 2040, l’eliminazione dal 2025 di tutti gli incentivi per le caldaie autonome e l’obbligo di installare i pannelli solari solo sugli edifici pubblici, su quelli non residenziali di grandi dimensioni e su quelli nuovi.

Fonte: Idealista.it

OMI, ancora calo delle compravendite nel III trim 2023: -10,4%

Continua la contrazione del mercato immobiliare. Secondo la nota trimestrale dell’Osservatorio OMI dell’Agenzia delle Entrate, infatti, nel III trimestre dell’anno si è registrato un calo del 10,4% delle compravendite rispetto all’analogo periodo del 2022. In questo periodo sono state vendute 157 mila abitazioni, circa 18mila in meno rispetto allo scorso anno.

compravendite

Agenzia Entrate

A livello nazionale, le compravendite di abitazioni diminuiscono maggiormente nei comuni non capoluogo, dove il calo è del 10,8% (circa 13 mila abitazioni scambiate in meno rispetto al terzo trimestre 2022), ma subiscono una decisa flessione anche nei comuni capoluogo, -9,5%.

Rispetto al terzo trimestre del 2022, la diminuzione degli scambi è diffusa in tutte le aree del Paese, senza eccezioni. Al Nord Est e al Centro la variazione negativa è più marcata (rispettivamente -12,9% e -12,6%) mentre al Nord Ovest il calo si attesta a -10,3%, tasso trascinato dalle perdite registrate nei comuni non capoluogo (-11,1%).

Al Sud si registra un calo del 7,3% equamente distribuito tra comuni minori e comuni capoluogo (rispettivamente -7,2% e -7,5%). Nelle Isole, invece, si osserva la diminuzione più lieve, -6,3%. Le perdite più consistenti si registrano nei comuni non capoluogo del Nord Est con un tasso tendenziale negativo del 14,1%.

Compravendite per tagli dimensionali

La diminuzione degli scambi, come emerge dal confronto con lo stesso trimestre del 2022, coinvolge tutti i tagli dimensionali in special modo i tagli più grandi e risulta più accentuata al crescere della grandezza delle abitazioni.

In particolare, le abitazioni di taglio piccolo diminuiscono dell’8%, le abitazioni nella classe da 50 a 85 m2 hanno una variazione del -9,4%, quelle di taglio compreso tra 85 m2 e 115 m2diminuiscono del 10,6%, le abitazioni di taglio compreso tra 115 e 145 m2 subiscono una flessione pari a -11,7% e infine le grandi abitazioni, con superfici oltre i 145 m2 registrano un calo pari al 10,4%.

Nel dettaglio delle aree i cali, come per il complesso nazionale, risultano crescenti all’aumentare della grandezza delle residenze. Al Nord e nelle Isole il calo è elevato anche per gli alloggi di dimensioni più contenute.

Nuove abitazioni vs abitazioni esistenti

Nel III trim 2023 sono state acquistate circa 12.600 nuove abitazioni pari all’8,1% del totale delle abitazioni compravendute23. Rispetto all’omologo trimestre del 2022 si registra ancora una flessione, seppur meno evidente rispetto allo scorso trimestre, dei volumi di scambio di abitazioni di nuova costruzione, con un calo tendenziale che sfiora il 16%

Nel tempo si è avuto un calo di compravendite per le nuove abitazioni, con volumi che passano dalle quasi 26.000  stimate a inizio 2011, alle circa 14mila dell’ultima rilevazione trimestrale. Il calo, come dimostra la curva dei dati destagionalizzati, è stato più pronunciato fino al 2015, mostrando, negli anni successivi, una sostanziale stabilizzazione e una lieve crescita nel 2021 che continua nel 2022, e registra di nuovo una flessione all’inizio del 2023. 

La quota di scambi di nuove abitazioni è rimasta stabilmente vicina al 20% fino al quarto trimestre 2013, per poi diminuire lentamente e portarsi al di sotto del 10% dal 2019, risalita al 10,8% nel secondo trimestre del 2022, si è portata sotto il 10% neisuccessivi trimestri e risulta in rialzo, pari all’8,1%, nell’ultima rilevazione

Abitazioni nuove

Fonte: Idealista.it

Tra tassi di interesse alti, inflazione e Pnrr ecco come cambierà il settore delle costruzioni

I più recenti dati Istat sulle costruzioni mostrano una produzione stagnante a settembre e in calo nei primi nove mesi dell’anno. Il crollo  delle compravendite di abitazioni è un segnale di difficoltà delle famiglie di cui la politica deve tener conto. Il miglioramento della fiducia degli imprenditori edili lascia intravedere un possibile andamento favorevole dell’attività nel breve periodo. Sono alcune delle osservazioni di Giovanni Pelazzi, Presidente di Argenta SOA, che commenta la situazione del settore delle costruzioni in Italia, analizzata dal report 2023 sulle costruzioni del Centro Studi Argenta SOA.

In che stato si trova ad oggi il settore edile?

“I dati diffusi oggi dall’Istat ci consegnano un quadro fatto di luci e ombre, – risponde Pelazzi.- La produzione nelle costruzioni ha ristagnato a settembre (+0,2% su agosto) e, dopo la caduta nel secondo trimestre (-3,2% sul primo), si osserva un incremento dell’attività edile nella media del terzo (+0,8% sul secondo)”.
 

Come interpretare questi dati?

“È sicuramente un dato rassicurante – sostiene Giovanni Pelazzi, – anche se bisogna tenere conto che i mesi estivi spesso si caratterizzano per una forte varianza. Ad ogni modo, nei primi nove mesi dell’anno l’attività è in calo del 2,4% e, di questo passo, nella media del 2023 si va verso una diminuzione intorno al 2% rispetto al 2022. Un dato che si può ritenere anche meno negativo di quello atteso solo pochi mesi fa, tenuto conto del contesto difficile sia dal punto di vista economico sia anche sotto il profilo dell’incertezza che ha caratterizzato le decisioni e le strategie intorno agli incentivi destinati al settore”.

Qual è il sentiment degli operatori del settore?

“Per i prossimi mesi gli imprenditori non sono particolarmente pessimisti né sulla dinamica della produzione attuale né su quella attesa”, afferma Pelazzi. “Naturalmente, il PNRR funge da catalizzatore degli investimenti nel comparto e da attivatore della produzione futura. Circa 40 miliardi di euro di investimenti previsti dal PNRR in maniera diretta o indiretta riguardano le costruzioni. Si tratta di una fetta rilevante, considerando che l’ammontare complessivo di investimenti del settore ammonta a circa 180 miliardi annui”.


Qual è l’impatto sulla compravendita di abitazioni?


“Come indicano i dati, le compravendite sono in calo del 14% nei primi sei mesi di quest’anno rispetto al primo semestre del 2022. D’altronde, è inevitabile, visto che il costo medio di un mutuo a tasso fisso oggi è fortemente aumentato e i prezzi di vendita delle abitazioni sono cresciuti, in un contesto di forte rallentamento economico e con attese di calo dei prezzi, fattori che portano le famiglie a rinviare le scelte di acquisto delle abitazioni”.

Da cosa sarà influenzato il settore delle costruzioni in futuro?

“A pesare sul futuro del settore sono gli effetti dell’inflazione e del costo del denaro per famiglie e imprese, oltre all’incertezza che rende più difficile programmare le strategie sia per le imprese che per le famiglie. Pur se l’inflazione mostra segni di decelerazione, i prezzi restano ancora elevati rispetto a due anni fa: i livelli sono più alti in media del 18%, con un onere più forte per le famiglie meno benestanti – a causa della composizione del paniere degli acquisti – per le quali i livelli dei prezzi sono superiori del 22%”.

Qual è invece l’impatto dei mutui?

“L’aumento del costo di finanziamento per le famiglie è alto: il costo medio di un mutuo a tasso fisso oggi è intorno al 5%, per il credito al consumo è quasi al 9%, mentre sono saliti contestualmente i prezzi di vendita degli immobili. Per le imprese i tassi sono intorno al 4,5% medio e si sono irrigiditi i criteri di garanzia richiesti dalle banche con il risultato che si è ridotta la domanda di prestiti (quasi il 7% in meno a settembre, secondo Banca d’Italia). Al Sud, in particolare, sempre secondo Banca d’Italia, il costo medio di un finanziamento è superiore di circa un punto percentuale rispetto al Nord. Se si considera che le aspettative sono di un calo dei prezzi nel prossimo anno, le famiglie sono portate a rinviare le scelte di acquisto delle abitazioni (nel secondo trimestre -16% le vendite di abitazioni in un anno). Questa situazione potrebbe avere effetti gravi per le imprese del comparto. Le difficoltà delle famiglie e a cascata delle imprese devono essere al centro della strategia della politica”.

Come influirà il PNRR?

“C’è da considerare anche un effetto “spiazzamento” degli investimenti pubblici rispetto a quelli privati in questa fase, ma la spinta che può venire dal PNRR – se verranno rispettati i tempi e la spesa prevista – è rilevante e bisogna fare di tutto affinché non manchi all’economia italiana questo boost”.

Fonte: Idealista.it

Comunicazione della cedolare secca in caso di subentro degli eredi, alcuni chiarimenti

La Cgt di primo grado di Firenze è intervenuta in merito alla comunicazione della cedolare secca in caso di subentro degli eredi. A partire da quando è possibile esercitare l’opzione per il regime agevolativo? È su questo punto che si è concentrata la sentenza 459/1/2023, trattando il caso di una contribuente che aveva ricevuto per eredità testamentaria un immobile, condotto in locazione. Vediamo quanto precisato.

Nel dettaglio, come sottolineato dal Sole 24 Ore che ha analizzato la vicenda, la contribuente aveva ricevuto per eredità testamentaria un immobile, condotto in locazione, e aveva presentato la dichiarazione di subentro richiedendo espressamente di volersi avvalere della cedolare secca nel termine di 30 giorni dalla data di apertura del testamento. Ma, secondo l’ufficio, c’era stata tardività della comunicazione decorrente dall’evento successorio, determinato dalla data di decesso del locatore.

La contribuente, però, aveva evidenziato il fatto che l’opzione della cedolare secca non poteva essere esercitata prima dell’apertura del testamento, momento in cui è stato reso noto il trasferimento mortis causa dell’immobile locato. Di conseguenza, la contribuente aveva esercitato in modo corretto l’opzione per il regime agevolativo della cedolare secca dall’apertura del testamento, ossia quando è effettivamente subentrata nel contratto di affitto.

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Con la sentenza 459/1/2023, la Cgt di primo grado di Firenze ha stabilito che è legittima l’opzione per la cedolare secca esercitata dall’erede entro il termine di 30 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza del subentro mortis causa nel contratto di locazione. In particolare, la Cgt di primo grado di Firenze ha ritenuto non perentorio il termine per aderire al regime fiscale agevolato, dovendo valutare i possibili eventi che determinano il sorgere degli effetti traslativi della titolarità del bene. Del resto, secondo l’articolo 2935 del Codice civile “Decorrenza della prescrizione”, la prescrizione comincia a decorrere solo se e quando il diritto può essere fatto valere.

Si ricorda che, in linea generale, quando c’è un passaggio di proprietà per atto tra vivi o per successione il regime facoltativo e agevolativo della cedolare secca cessa di esistere e il contratto torna ad essere assoggettato al regime ordinario. In questi casi, l’Amministrazione ha individuato un termine entro il quale scegliere il regime fiscale. Tale termine è individuato in 30 giorni dalla data del subentro.

Il caso esaminato dalla Cgt di primo grado di Firenze ha però portato alla ribalta la necessità di “considerare i possibili eventi che determinano il sorgere degli effetti traslativi della titolarità del bene” e quindi di poter optare per la cedolare secca entro il termine di 30 giorni dalla data in cui l’erede viene a conoscenza del subentro mortis causa nel contratto di locazione.

Fonte: Idealista.it

Affitti case: crollo a novembre (-2,1%), ma boom in un anno (12,1%). Scopri i canoni nella tua città

A novembre, i canoni di locazione in Italia hanno registrato una diminuzione del 2,1%, stabilendosi a 12,4 euro/m2 mensili, secondo l’analisi condotta dall’Ufficio Studi di idealista, il portale immobiliare leader in Italia per lo sviluppo tecnologico. Nonostante questo rallentamento nell’ultimo mese, emerge un notevole incremento del 12,1% nell’arco degli ultimi 12 mesi.

Regioni
A livello regionale, si osservano cali generalizzati degli affitti in tutte le aree, tranne in Trentino-Alto Adige (3,2%) e Molise (1,2%), che registrano aumenti a novembre. Le contrazioni più marcate coinvolgono Valle d’Aosta (-8,4%), Calabria (-5,2%) e Puglia (-4,7%), seguite da Liguria (-4,4%) e Abruzzo (-4%). Le restanti 13 regioni in ribasso oscillano tra il -3,5% del Lazio e il -0,2% del Piemonte.

La regione con i canoni di affitto più elevati è la Valle d’Aosta (18,9 euro/m2), seguita da Lombardia (17,5 euro/m2), Toscana (15,8 euro/m2) e Trentino-Alto Adige (14,4 euro/m2). Prezzi superiori alla media italiana sono riscontrati anche in Emilia-Romagna (13,1 euro/m2), mentre le altre regioni oscillano dai 12,3 euro del Lazio ai 6,3 euro mensili del Molise, la zona più conveniente per gli affittuari italiani.

Province
Parallelamente alle regioni, la tendenza provinciale degli affitti risulta negativa, con cali in 73 zone su 107. I ribassi più significativi, superiori al dieci per cento, sono registrati a Latina (-16%), Grosseto (-13,6%), Fermo (-13%), Sassari (-11,1%) e Brindisi (-10,2%). Al contrario, gli incrementi più marcati interessano Oristano (8,2%), Sondrio (7%) e Bolzano (6,5%).

In termini di prezzi, Lucca (26,6 euro/m2) si posiziona come la provincia più costosa, seguita da Belluno (25,9 euro/m2), Bolzano (21,5 euro/m2) e Milano (21,2 euro/m2). Le province con affitti più accessibili sono Enna (4,9 euro/m2), Caltanissetta (5,2 euro/m2) e Benevento (5,5 euro/m2).

Capoluoghi
A livello cittadino, la tendenza si presenta contrastata, con 39 capoluoghi in aumento, 39 in calo e 4 (Verona, Frosinone, Perugia e Pavia) stabili. Le maggiori crescite del mese sono registrate a Vibo Valentia (6,5%), Campobasso e Pescara (entrambe 5,2%), Trento (4,5%) e Lodi (3,8%).
Al contrario, Brindisi (-6%), Macerata e Grosseto (-5,8%), Pesaro (-5,3%) e Ragusa (-5,2%) sono i capoluoghi con i cali più significativi.


Tra i principali mercati della locazione, Venezia (2,4%), Napoli e Palermo (entrambe con un incremento dell’1%) evidenziano una chiara tendenza positiva. Roma mostra una variazione pressoché stabile, con un modesto aumento dello 0,1%. Al contrario, Milano (-1,8%) e Torino (-2%) registrano una contrazione nei prezzi degli affitti.

Nonostante la diminuzione di novembre, Milano (22,5 euro/m2) mantiene il titolo di città più costosa d’Italia per gli affitti, seguita da Firenze (19,9 euro/m2), Venezia (18,4 euro/m2) e Bologna (17,3 euro/m2). Caltanissetta (4,7 euro/m2) si conferma come il capoluogo più conveniente per le locazioni, precedendo Vibo Valentia (5 euro/m2) e Reggio Calabria (5,3 euro/m2).

L’indice dei prezzi degli immobili idealista
Per la realizzazione dell’indice dei prezzi degli immobili di idealista vengono analizzati i prezzi di offerta basati sui metri quadri costruiti (a corpo) pubblicati dagli inserzionisti della piattaforma. Le inserzioni atipiche e le inserzioni con prezzi fuori mercato vengono eliminate dalle statistiche. Includiamo la tipologia di case unifamiliari (ville) e scartiamo immobili di qualsiasi tipologia che non hanno ottenuto interazioni da parte degli utenti per molto tempo. I dati finali vengono generati utilizzando la mediana di tutte le inserzioni valide in ciascun mercato.

Fonte: Idealista.it

Ristrutturazione edilizia, come rinnovare gli edifici esistenti e ridurre drasticamente i consumi

Rinnovare gli edifici esistenti con un approccio olistico, creando il minimo disagio a chi vi abita, renderli smart e ridurre drasticamente i consumi è possibile. A dimostrarlo due progetti coordinati dal Politecnico di Milano e finanziati nell’ambito di Horizon 2020 e Horizon Europe, programmi quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione. Si tratta di Heart e Re-Skin. Entrambi mirano a sviluppare dei pacchetti tecnologici multifunzionali, in grado di trasformare un edificio esistente, ad alta intensità energetica, in una struttura moderna, smart, efficiente e sostenibile. Ma di cosa si tratta esattamente? idealista/news lo ha chiesto a Niccolò Aste, professore ordinario di Fisica tecnica e ambientale al Politecnico di Milano e coordinatore dei progetti.

Il progetto Heart (Holistic Energy and Architectural Retrofit Toolkit) è un toolkit che mette a sistema tecnologie costruttive ed impiantistiche da applicarsi ai fini della riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Il tutto è governato da una piattaforma informatica basata su cloud che include funzionalità decisionali e di gestione dell’energia. Questa diventa così il “cuore” dell’edificio, regolandone il consumo e il flusso energetico. Sono due gli edifici pilota sviluppati nell’ambito del progetto per dimostrarne sul campo la reale efficacia: uno si trova a Bagnolo in Piano in Italia e l’altro a Lione in Francia.

Il progetto Re-Skin, che è l’evoluzione di Heart in chiave di circolarità, integrando Ict, energie rinnovabili, materiali sostenibili (biobased, riciclati o riciclabili) e installazioni di nuova generazione, offre una soluzione olistica e sistemica per il retrofit energetico e l’aggiornamento intelligente di edifici residenziali, commerciali e pubblici. Questo progetto è ancora aperto ed è in fase di sperimentazione a Milano in Italia, poi si interverrà in Francia, in Spagna e in Bulgaria.

Il Politecnico di Milano ha lavorato a due progetti in tema di ristrutturazione degli edifici: Heart e Re-Skin. Di cosa si tratta?

“Gli interventi che abbiamo studiato e che si stanno facendo in giro per l’Europa sono interventi di deep renovation, cioè di ristrutturazione profonda. Si mette mano all’edificio in modo significativo provocando il minimo disagio agli abitanti”.

Nello specifico, i progetti Heart e Re-Skin in cosa consistono?

“Sono progetti di ricerca, sviluppo ed applicazione sul campo. Sia per Heart che per Re-Skin abbiamo studiato dei cosiddetti toolkit, pacchetti di interventi multi-tecnologici che vengono applicati agli edifici esistenti.

Quando si parla di pacchetto multi-tecnologico ci si riferisce ad esempio ad un pacchetto composto da tecnologie di facciata, da sistemi fotovoltaici, da pompe di calore, da una piattaforma cloud che gestisce l’edificio e lo fa interfacciare con l’esterno, da una serie di altri dispositivi già compatibili tra di loro e studiati per la reciproca interazione che vengono applicati in maniera sistemica sull’edificio rinnovandolo.

Si tratta di un approccio olistico. In questo caso tutti i componenti, seppur prodotti da aziende diverse, sono già stati ottimizzati per interagire tra di loro. Ciò comporta un risparmio complessivo notevole”.

Con questo sistema tutto viene ottimizzato?

“Sì, esatto. Ottimizzazione è il termine giusto. All’interno c’è un sistema di building automation che inizia a lavorare prima ancora di essere installato sull’edificio e con i dati a disposizione comincia a simulare l’edificio com’è e come sarà. Attraverso simulazioni iterative e progressive individua il migliore abbinamento tra materiali e apparecchiature. Tutto viene ottimizzato e messo a sistema. Tutto viene messo nella condizione di dare la migliore prestazione possibile. Chiaramente, non si raggiunge mai la perfezione, ma ci si può avvicinare, aumentando l’efficienza ed evitando sprechi e mismatch.

La sfida dei progetti Heart e Re-Skin è trasformare un edificio vecchio, con prestazioni carenti, in  uno smart building ad alta efficienza.

Heart è stato il primo progetto, Re-Skin è una versione evoluta di Heart con molti contenuti di circular economy. Gli obiettivi di Re-Skin sono ancora più ambiziosi, ma sempre confortati dai dati”.

Quali possono essere i benefici in termini di riduzione dei consumi degli smart building

“Si può arrivare al 90% in meno di consumi di climatizzazione.

Questo perché da una parte con le tecnologie di involucro i consumi si riducono molto, dall’altra con l’integrazione del fotovoltaico nelle coperture si autoproduce energia. Quindi si abbatte il fabbisogno di energia e gran parte di essa viene prodotta con il fotovoltaico”.

Il fotovoltaico è una preziosa fonte di energia? 

“Il fotovoltaico è un’ottima fonte di energia, anche competitiva. In linea teorica, si potrebbe vivere di solo fotovoltaico. Il suo unico problema è che dipende dalla variabilità dell’irraggiamento solare, serve dunque l’accumulo, che però costa, ha un ciclo di vita più breve (dell’edificio sicuramente, ma anche dell’impianto fotovoltaico), ha un impatto ambientale diverso. Si tratta dunque di una questione in più da affrontare.

Facendo queste considerazioni, nel primo progetto, Heart, abbiamo installato dei sistemi avanzati di accumulo termico: il fotovoltaico produce elettricità, questa elettricità alimenta la pompa di calore e la pompa di calore riscalda o raffredda l’edificio a seconda della stagione; ma se si ha elettricità in eccedenza dal fotovoltaico, invece di accumularla in una batteria, la pompa di calore riscalda o raffredda dell’acqua in un serbatoio contente materiali a cambiamento di fase, che ne aumentano la capacità termica, così si ha acqua calda o fredda da usare quando non c’è sole. In questo modo si utilizza fino in fondo l’energia fotovoltaica. Nel progetto Re-Skin, invece, al fine di abbattere costi ed impatti stiamo utilizzando batterie riciclate dal settore automobilistico, questo nella logica dell’economia circolare”.

Perché sono importanti questi progetti?

“Questi progetti sono importanti perché c’è l’occasione di studiarli, di elaborare delle soluzioni e poi di provarli sul campo. In Heart abbiamo due edifici pilota, uno a Bagnolo in Piano in Italia e uno a Lione in Francia. In Re-Skin, che è ancora aperto, ne abbiamo quattro: uno a Milano, uno in Francia, uno in Spagna e uno in Bulgaria”.

È davvero possibile trasformare un edificio esistente altamente energivoro in una struttura moderna, efficiente e sostenibile lungo tutto il ciclo di vita? 

“Sì. Questo è proprio uno dei risultati dei nostri progetti”.

L’attenzione verso il risparmio energetico è oramai forte. Come cambieranno le nostre case?

“Gli edifici cambieranno sicuramente, non forse tanto nell’estetica, anche se mi auguro si assista anche a un’evoluzione del linguaggio architettonico, ma certamente nell’efficientamento, anche perché abbiamo degli obblighi, morali ma soprattutto normativi come quelli derivanti dalla nuova direttiva europea sulla prestazione energetica degli edifici.

Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. E non è solo il disagio di un’estate al caldo. Se prosegue, il cambiamento climatico vuol dire cataclismi, danni all’agricoltura, alle acque, fenomeni metereologici estremi, aree che cominciano a desertificarsi, scioglimento dei ghiacciai etc. Il cambiamento climatico è un disastro, i primi effetti li vediamo adesso, ma sono niente rispetto a quello che potrà accadere in futuro se non si agisce con efficacia e determinazione. Una catastrofe ambientale, ma anche sociale ed economica a livello planetario che non ci possiamo permettere.

Il cambiamento climatico è legato soprattutto alle emissioni di CO2. Negli ultimi cento anni c’è stata un’impennata di livelli di CO2 nell’atmosfera che non si è mai registrata in milioni di anni.

E il 40/50% delle emissioni, in Europa siamo intorno al 50%, è dovuto al settore edilizio. La maggior parte dell’inquinamento in atmosfera, di produzione della CO2, è dovuta al settore edilizio.

In considerazione di ciò tutte le politiche energetico-ambientali dicono che è necessario intervenire sugli edifici. Come? Facendo meglio quelli nuovi e porre rimedio in quelli esistenti, il che significa innanzitutto abbattere i consumi energetici e le emissioni associate. Di conseguenza, tutte le politiche parlano di riqualificazione energetica, che fa spendere meno all’utente e che è necessaria per questa azione di contrasto al cambiamento climatico. Dopodiché ci si pone giustamente il problema di chi paga questo efficientamento energetico. Il grande dibattito verte proprio su questo punto”.

Un problema che appare difficile da risolvere…

“Un po’ alla volta si stanno mettendo a punto degli strumenti di incentivazione, di supporto, per queste azioni. Il superbonus è stato una di queste azioni, ha dato un forte impulso, ma non è stato organizzato nel migliore dei modi. L’intenzione era buona, ma le modalità con cui è stato gestito hanno aperto tante perplessità e generato criticità. I meccanismi devono essere studiati meglio, considerando che un efficientamento energetico può avere dei tempi di ritorno finanziariamente interessanti. Nella nuova direttiva europea, ad esempio, c’è la previsione di mutui specifici o fondi di investimento nell’efficienza energetica, oltre a diversi strumenti di finanziamento.

Il tema di chi paga dovrà essere affrontato nel dettaglio. Abbattere i consumi energetici è una convenienza collettiva, bisogna prevedere che anche la copertura sia in qualche modo a carico della collettività e non solo del singolo.

Una politica lungimirante a riguardo dovrebbe tenere in considerazione le diverse disponibilità economiche, le diverse possibilità, i diversi strumenti di incentivazione e trovare delle soluzioni applicabili. Soluzioni che, trovando dei meccanismi adeguati, potrebbero ad esempio prevedere una parte di coinvolgimento del soggetto interessato (che sicuramente ha un ritorno), una parte di finanziamenti da soggetti economici (come i fondi d’investimento) e una parte di incentivo pubblico (adeguatamente modulato)”.

Fonte: Idealista.it

Mutui e affitti tra i fringe benefit: le novità della legge di Bilancio 2024

Mutui e affitti potrebbero essere inseriti tra i fringe benefit, ovvero tra le gratifiche aziendali ai dipendenti. È una delle possibilità apportate dalla legge di Bilancio 2024, che vorrebbe includere rate e canoni a fianco degli altri vantaggi per i dipendenti, quali la detassazione (per importi fino a mille euro, duemila se ci sono figli a carico) o bonus per le spese domestiche. Ecco cosa potrebbe cambiare per mutui e affitti tra i fringe benefit.

  1. Bonus mutui e affitti come fringe benefit
  2. Come funziona il fringe benefit mutuo o affitto
  3. Mutui e affitti tra i finge benefit: le critiche

Bonus mutui e affitti come fringe benefit

La legge di Bilancio 2024 potrebbe prevedere un bonus esentasse, erogato dal datore di lavoro come gratifica aziendale, per coprire il canone di affitto o la rata del mutuo, solo nella sua quota di interessi. Nel caso l’azienda decidesse di aderire a questa possibilità data dal Governo (che per le aziende si traduce appunto nel vantaggio della detassazione), il bonus per i dipendenti potrebbe alzarsi, dai canonici 258,23 euro, a:

  • 2mila euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico, reddito fino a 2840,51 euro e 24 anni di età;
  • 4 mila euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico, reddito fino a 2840,51 euro e oltre 24 anni di età;
  • 1000 euro per tutti gli altri.

Come funziona il fringe benefit mutuo o affitto

Se la misura sui fringe benefit dovesse essere effettivamente approvata, la questione sarà tutta operativa, ovvero: come erogare il bonus mutuo o affitto da parte del datore di lavoro. I criteri di calcolo e le modalità di erogazione sono infatti stabiliti dal Tuir (art.51) tra le norme sulla concessione di prestiti da parte del datore di lavoro, che stabiliscono l’effettiva quota detassabile e le indicazioni sull’attribuzione del bonus. Il che potrebbe presentare delle difficoltà contabili se si tiene conto che, in presenza di tassi di interesse in continuo cambiamento, gli importi da erogare sarebbero da ricalcolare ogni mese.

Mutui e affitti tra i finge benefit: le critiche

Se quindi il possibile bonus mutui e affitti tra i fringe benefit viene accolto con favore in un momento di difficoltà economica come questo, le perplessità sulla sua applicazione restano molte.

Oltre alla difficoltà di calcolo e alle dubbie modalità di erogazione di cui parlavamo sopra, un’altra critica è costituita dal fatto che l’innalzamento del tetto massimo delle gratifiche aziendali riguarderà solo il 2024, il che non costituisce evidentemente un aiuto stabile su cui le famiglie possano contare. La richiesta è quindi che l’aggiornamento delle soglie divenga permanente, in modo da rendere effettivo il beneficio a lungo termine del bonus, sia per i dipendenti che per le aziende.

Un’altra perplessità riguarda i requisiti per l’accesso al bonus. Si tratterebbe infatti soltanto di un beneficio che riguarda la prima casa, e la lista dei documenti da presentare sarebbe stata giudicata troppo onerosa.

Fonte: Idealista.it

Bonus casa, al via dal 1° dicembre la comunicazione dei crediti di imposta non utilizzabili

L’Agenzia delle Entrate ha fatto sapere che la comunicazione dei crediti d’imposta non utilizzabili deve essere inviata a decorrere dal 1° dicembre 2023 tramite un apposito servizio web disponibile nell’area riservata del sito internet della stessa Agenzia, all’interno della “Piattaforma cessione crediti”, direttamente da parte dell’ultimo cessionario titolare dei crediti stessi.

Con il provvedimento n. 2023/410221, in particolare, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che dal 1° dicembre sarà disponibile il servizio sulla “Piattaforma cessione crediti” dell’Agenzia delle Entrate per la comunicazione delle somme inutilizzabili relativi ai bonus casa e al superbonus. La comunicazione dovrà essere inviata dall’ultimo cessionario, sia che si tratti di opzione per la cessione del credito che di sconto in fattura.

Ma cosa deve contenere la comunicazione? Secondo quanto spiegato dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, la comunicazione dei crediti d’imposta non utilizzabili da inviare tramite la “Piattaforma cessione crediti” deve indicare dati specifici.

Per i cosiddetti crediti d’imposta tracciabili devono essere indicati il protocollo telematico attribuito alla comunicazione di prima cessione del credito o sconto in fattura da cui sono derivati i crediti non utilizzabili; una o più rate annuali dei suddetti crediti. La comunicazione è accolta se le rate dei crediti risultano ancora nella disponibilità del cessionario che ha effettuato la comunicazione stessa.

Per i crediti non tracciabili devono essere indicati gli estremi identificativi della rata annuale del credito derivante dalla comunicazione di prima cessione del credito o sconto in fattura; la comunicazione è accolta se il cessionario dispone di credito residuo sufficiente per la tipologia di credito indicata e la relativa rata annuale.

Nella comunicazione è indicata anche la data in cui l’ultimo cessionario è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito.

Le comunicazioni accolte sono immediatamente efficaci e i crediti a cui si riferiscono non risulteranno più a disposizione del cessionario che ha effettuato le comunicazioni stesse.

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L’introduzione della comunicazione dei crediti di imposta non utilizzabili

La comunicazione dei crediti di imposta non utilizzabili è stata introdotta dall’articolo 25 del decreto legge n. 104/2023, “Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici”.

Secondo quanto previsto da tale articolo, “nelle ipotesi in cui i crediti non ancora utilizzati risultino non utilizzabili per cause diverse dal decorso dei termini di utilizzo dei medesimi crediti, l’ultimo cessionario è tenuto a comunicare tale circostanza all’Agenzia delle Entrate entro trenta giorni dall’avvenuta conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano a partire dal 1° dicembre 2023. Nel caso in cui la conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito sia avvenuta prima del 1° dicembre 2023, la comunicazione è effettuata entro il 2 gennaio 2024”. 

La mancata comunicazione entro i termini previsti comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa tributaria pari a 100 euro

Fonte: Idealista.it