Incremento dello 0,6% dei prezzi delle case nel I trim 2024. Scopri i valori nella tua città

Il prezzo medio delle abitazioni in Italia è di 1.850 euro/m2

Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio Studi di idealista, il portale immobiliare leader per lo sviluppo tecnologico in Italia, i prezzi delle case esistenti nel nostro Paese sono aumentati dello 0,6% rispetto al trimestre precedente. Questo incremento ha portato il valore medio nazionale delle abitazioni a 1.850 euro al metro quadro, con una crescita del 2% rispetto all’anno precedente.

Secondo Vincenzo De Tommaso, Responsabile dell’Ufficio Studi di idealista, “nonostante ci sia stato un calo nei volumi delle compravendite nel settore residenziale, con un tasso di variazione annuo registrato del -9,7%, i prezzi delle case sono aumentati. Questo aumento può essere spiegato dalla diminuzione continua del numero di case disponibili sul mercato. Questo squilibrio tra domanda e offerta ha compensato fattori come i tassi di interesse più alti. Ciò aiuta a comprendere perché i valori immobiliari in Italia rimangono rigidi, non aumentando in linea con l’inflazione, ma allo stesso tempo non diminuendo come ci si aspetterebbe in un mercato in cui i mutui sono meno accessibili”.

Capoluoghi

Il rapporto mostra che i prezzi stanno aumentando su base trimestrale in 67 dei 106 mercati.
Anche i grandi capoluoghi italiani registrano un andamento tendenzialmente positivo, come evidenziato dalle performance di Napoli (2,6%), Torino (0,7%) e Roma (0,1%), mentre Milano è rimasta stabile dopo i mesi invernali.

 Tra gli altri principali mercati Belluno e Vercelli spiccano al top degli incrementi trimestrali, rispettivamente con l’8,4% e il 5,4%, seguite da Trieste ed Aosta (entrambe 4,6%). Sul lato opposto, i maggiori indici di ribasso dei mesi invernali spettano a Cuneo (-7,8 %), Oristano (-5,7%) e Macerata (-5,1%).

Milano (4.988 euro/m2) resta in cima alla classifica dei prezzi davanti a Bolzano (4.477 euro/m2), Venezia (4.466 euro/m2) e Firenze (4.006 euro/m2). Nel ranking delle città più care Bologna (3.452 euro/m2) occupa il quinto posto, davanti a Roma (3.021 euro/m2); Napoli (2.823 euro/m2)   è nona nella graduatoria dei prezzi al metro quadro delle abitazioni. Da questo trimestre Caltanissetta (732 euro/m2) diventa la città più economica dove acquistare casa, seguita da Biella (750 euro/m2) e Ragusa (750 euro/m2).

Regioni

Solo due regioni segnano dei cali questo trimestre: Molise (-0,7%) e Friuli-Venezia Giulia (-0,1%).
Puglia e Calabria registrano prezzi invariati rispetto al periodo autunnale, mentre aumenti si segnalano in tutte le altre macroaree, trainate dai rialzi di Valle d’Aosta (4,1%), Veneto (2,9%) e Trentino-Alto Adige (2,5%). Altre 7 regioni segnano incrementi sopra la media dello 0,6% dei mesi invernali. Sono: Marche (1,5%), Campania (1,2%), Sicilia (0,9%), Emilia-Romagna (0,8%), Basilicata (0,8%), Sardegna e Lombardia (entrambe 0,7%).

Il Trentino-Alto Adige (3.101 euro/m2) è la regione italiana con i prezzi più elevati, seguita da Valle d’Aosta (2.705 euro/m2), Liguria (2.499 euro/m2) e Toscana (2.335 euro/m2). Anche Lombardia (2.188 euro/m2) e Lazio (2.132 euro/m2) fanno rilevare valori superiori alla media di 1.850 euro/m2 a livello nazionale. Si collocano sotto questa soglia 14 regioni, con prezzi compresi tra i 1.849 euro dell’Emilia-Romagna e gli 893 euro del Molise, la regione più economica dove comprare casa.

Province

Variazioni positive hanno riguardato 68 mercati provinciali su 107, con i maggiori rialzi a Belluno (7,8%), Aosta (4,1%) e Trento (3,9%). Di contro, gli indici di ribasso più marcati spettano alla provincia di Oristano (-4,2%), seguita da Rieti, Rimini e Terni (tutte -1,9%).

Bolzano (4.461 euro/m2) guida nettamente il ranking provinciale dei prezzi al metro quadro davanti a Milano (3.430 euro/m2), Lucca (3.111 euro/m2) e Savona (3.066 euro/m2). All’opposto della graduatoria troviamo Biella (632 euro/m2), Isernia (666 euro/m2) e Caltanissetta (673 euro/m2).

L’indice dei valori immobiliari di idealista

A partire dal rapporto relativo al secondo trimestre del 2022, abbiamo aggiornato la metodologia di calcolo per la determinazione del prezzo delle abitazioni rimuovendo gli annunci di aste dal campione storico di idealista (da gennaio 2012 ad oggi).  

Tale approccio permette di minimizzare le distorsioni statistiche derivanti dai prezzi di questi annunci, che non rispecchiano l’effettiva richiesta del proprietario, ma il prezzo di base d’asta (prezzo inferiore al suo valore), e garantisce la massima accuratezza del nostro report.

Dal 2021 abbiamo osservato una presenza crescente di annunci di aste sul portale, soprattutto nelle aree urbane, da qui la scelta di intervenire per rimuovere gli annunci prima di procedere al calcolo per minimizzare le distorsioni del campione e far sì che le serie di prezzi generate siano più stabili e rappresentino al meglio i prezzi di offerta.

Nel 2019 idealista aveva introdotto una nuova metodologia di calcolo tesa a rendere la nostra analisi dell’evoluzione dei prezzi, specialmente in aree di piccole dimensioni, ancora più robusta che in passato. Per evitare salti nella nostra serie, i dati dal 2007 erano stati ricalcolati con la nuova metodologia.

Su raccomandazione del team statistico di idealista/data, divisione specializzata nella gestione di grandi volumi di informazioni e nel data modeling, avevamo aggiornato la formula per indicare il prezzo medio con maggiore certezza: oltre a eliminare gli annunci atipici e con i prezzi fuori mercato, si calcola il valore mediano invece del valore medio. Con questo cambiamento, oltre ad affinare ulteriormente il nostro indice rendendolo più rispondente alla realtà del mercato, omologhiamo la nostra metodologia a quelle applicate in altri Paesi per ottenere dati immobiliari.

Tra le tipologie immobiliari che compongono il campione da analizzare, vengono incluse le case unifamiliari (viletta o chalet), mentre sono esclusi gli immobili, di qualsiasi tipo, che sono rimaste nel nostro database senza ottenere interazioni utente per molto tempo. Inoltre, a partire da questo mese sono state scartate anche le aste. Il rapporto è sempre basato sui prezzi di offerta pubblicati dagli inserzionisti di idealista.

Fonte: Idealista.it

Quante case si affittano in Italia? I dati dell’OMI

Secondo i dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, nel IV trimestre del 2023 sono state locate 241.784 abitazioni, in calo rispetto al III trimestre del 2022, del 4,6% . Di queste il 68% riguarda residenze ubicate in comuni ad alta tensione abitativa dove la flessione, del 5,3%, risulta lievemente superiore a quella complessiva. Il canone annuale riferito alle abitazioni con locazione registrata nel IV trimestre 2023 ammonta ad oltre 1,6 miliardi di euro in aumento dello 0,9%.

Dal 2016, il numero di abitazioni locate ha evidenziato una crescita nel periodo precedente l’evento pandemico del 2020 più accentuato nel biennio 2018 e 2019. Alla forte contrazione del 2020 è seguito un recupero nel 2021 e una fase di lieve calo e stabilità nel 2022. Nel 2023, dopo un primo rialzo osservato ad inizio anno, il numero di abitazioni locate torna a scendere nei trimestri successivi.

Con riferimento alla tendenza, si evidenzia un’evoluzione piuttosto simile tra i diversi segmenti caratterizzata essenzialmente da una fase che precede e una successiva alla pandemia. Ciascun segmento mostra, però, talune peculiarità che possono ricondursi ad un trend di stabilità e calo per le locazioni con contratti ordinari di lungo periodo (ORD_L), una tendenza alla crescita, seppur moderata, per i segmenti dell’ordinario transitorio (ORD_T). Il mercato delle locazioni per studenti esibisce una crescita molto accentuata che, se si fa eccezione per l’anno 2020, caratterizza tutto il periodo.

Le locazioni di lungo periodo

Le abitazioni locate nel segmento ordinario di lungo periodo nel IV trimestre del 2023 sono state circa 109 mila in diminuzione del 7,6%, rispetto al IV trimestre del 2022. Nei comuni ad alta tensione abitativa., che per questo segmento rappresentano il 56% del totale delle abitazioni locate, il calo è più elevato di circa un punto percentuale.

Il totale dei canoni annuali per le abitazioni del segmento locate nel IV trimestre 2023 ammonta a circa 741 milioni di euro in diminuzione dello 0,7%, mentre nei comuni ad alta tensione il dato è rimasto quasi stabile (-0,2%) rispetto a una quota che rappresenta circa il 67% del canone complessivo di questo segmento.

Le locazioni annue

Agenzie delle Entrate

Le locazioni transitorie

Nel segmento ordinario transitorio nel IV trimestre del 2023 rispetto all’omologo trimestre del 2022, si registra una sostanziale stabilità in termini unità locate (-0,1%) a fronte di una significativa crescita dei valori monetari (+6,7%)

Il totale dei canoni annuali ammonta a circa 345 milioni di euro. Più del 60% degli alloggi locati nel segmento è ubicato in comuni ad alta tensione abitativa dove i rialzi del numero di residenze concesse in locazione e del canone annuo esibiscono un rialzo essenzialmente in linea con quello osservato per il complesso dei comuni

le locazioni transitorie

Fonte: Idealista.it

Come arredare la casa nel 2024: le tendenze di cui tenere conto

Al giorno d’oggi si sono fatte strada le forme arrotondate, i materiali naturali, le sedute ampie e i mobili multifunzionali. Il motivo va ricercato nel desiderio di spazi più piacevoli e dall’estetica naturale, che rispondano a un maggiore interesse per tutto ciò che ha a che fare con la sostenibilità, il riciclo e la connessione tra gli spazi interni ed esterni della casa.

Dimentica i mobili dalle linee rette e scegli forme rotonde e organiche

Come arredare la casa

Pexels

Forme e motivi organici sono diventati una tendenza dominante quando si tratta diarredamento per la casa, riflettendo un crescente interesse per i design ispirati alla natura. Ora che il mondo sembra essere un posto tutt’altro che tranquillo, la casa rappresenta uno spazio di rifugio, accogliente, dove sentirsi a proprio agio e rilassarsi in compagnia della famiglia e degli amici. Questo concetto trasferito ai mobili cosa significa? L’addio alle linee rette, che non sono più popolari perché danno una sensazione fredda e minimalista poco attraente.

Dunque tra le tendenze arredo 2024 vedremo forme sempre più organiche. Più che di una novità si tratta di un ritorno massiccio, che si traduce in grandi divani dalle linee morbide, tavolini dalle linee arrotondate e materiali naturali che consentano una connessione tra interno ed esterno. Tutto con l’obiettivo di creare ambienti dall’estetica morbida che trasmettano tranquillità.

Sedute ampie e divani con schienale basso

Come arredare la casa

Pexels

Questa tendenza, che si osserva da due o tre anni, è inarrestabile. Quando si parla di divani, forse l’arredo più importante della casa, dominano sedute ampie e morbide. Lo schienale è inoltre basso per non interrompere la connessione negli spazi open concept come quelli che dominano il design delle case contemporanee. Via libera anche ai divani componibili, che aiutano a riconfigurare lo spazio e adattarlo alle proprie esigenze.

Scegli mobili multifunzionali

Strettamente correlato all’idea precedente è il crescente interesse per mobili multifunzionali che si adattano alle case dove non ci sono troppi metri quadrati e forniscono una nota più personalizzata allo spazio oltre a consentire una certa flessibilità. Il concetto di multifunzionalità è importante ora che le case stanno diventando più piccole, ma anche che il modo in cui le viviamo è diverso. Sicuramente avrete familiarità con parole come coliving o cohousing, è sempre più comune che persone con orari ed esigenze diverse convivano nello stesso appartamento, poi c’è lo smart working che è destinato a restare. Per tutte queste ragioni, i mobili multifunzionali sono un vero e proprio trend che non può passare inosservato.

Tenete a mente queste tre parole chiave: riciclo, sostenibilità e biofilia

La realtà virtuale, l’intelligenza artificiale, la tecnologia e i materiali sintetici sono solo alcuni esempi del fatto che anche il mondo in cui viviamo necessita di una dimensione più connessa a ciò che ci circonda; più umano, tattile e naturale. Abbiamo già accennato al fatto che l’interesse per le forme organiche ha a che fare con il desiderio di riconnettersi con l’ambiente. Proprio per questo, parole come riciclo, sostenibilità e biofilia vengono trasferite ai mobili come modo per procurarci benessere. Così trionfano i mobili in legno riciclato, l’interesse per i pezzi vintage è alle stelle e sono di tendenza i pavimenti in legno di recupero, ma anche i motivi botanici e i colori naturali nelle imbottiture dei divani e nei cuscini.

Fonte: Idealista.it

Bonus mobili, quali sono i documenti da conservare

Se si vuole usufruire del bonus mobili e si hanno tutti i requisiti, quali sono i documenti da conservare? I chiarimenti arrivano dal Fisco. Si ricorda che l’agevolazione fiscale consiste in una detrazione Irpef del 50%, entro un limite di spesa di 5.000, che deve essere ripartita in dieci quote annuali di pari importo. Il beneficio spetta a chi acquista entro il 31 dicembre 2024 mobili ed elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di ristrutturazione.

Fisco Oggi, la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, è stato domandato: “Posso richiedere il bonus mobili se ho come documento di spesa solo uno scontrino fiscale e non la fattura di acquisto dei mobili?”.

Nel fornire la sua risposta, il Fisco ha spiegato che, “nei casi in cui la normativa fiscale prevede la possibilità di usufruire del bonus mobili ed elettrodomestici (articolo 16, comma 2, del decreto legge n. 63/2013), per poter richiedere la detrazione occorre conservare i documenti che attestano il pagamento dei beni (ricevute dei bonifici, ricevute di avvenuta transazione per i pagamenti mediante carte di credito o di debito, documentazione di addebito sul conto corrente) e le fatture di acquisto che specificano natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi acquisiti”.

Quando si parla di bonus mobili, dunque, i documenti da conservare sono quelli che attestano il pagamento dei beni – quindi ricevute dei bonificiricevute di avvenuta transazione per i pagamenti mediante carte di credito o di debitodocumentazione di addebito sul conto corrente – e le fatture di acquisto che specificano natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi acquisiti.

Il Fisco ha poi precisato che “ai fini della detrazione lo scontrino è equivalente alla fattura solo se riporta il codice fiscale dell’acquirente e l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni acquistati. Se lo scontrino non indica il codice fiscale dell’acquirente, la detrazione può essere consentita solo se, oltre a riportare natura, qualità e quantità dei beni acquistati, è riconducibile al contribuente titolare della carta di debito (o della carta di credito), in base alla corrispondenza con i dati del pagamento (esercente, importo, data e ora)”.

In pratica, lo scontrino può essere equiparato alla fattura solo se riporta il codice fiscale dell’acquirente e l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni acquistati. Nel caso in cui lo scontrino non indichi il codice fiscale dell’acquirente, via libera alla detrazione solo se indica natura, qualità e quantità dei beni acquistati ed è riconducibile al contribuente titolare della carta di debito o della carta di credito, in base alla corrispondenza con i dati del pagamento (esercente, importo, data e ora).

Fonte: Idealista.it

Case green, cosa prevede la direttiva europea e cosa succede ora

Il 12 aprile il provvedimento verrà ratificato dal Consiglio Ecofin e poi sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale Ue, a quel punto entrerà in vigore entro il ventesimo giorno dalla pubblicazione e gli Stati Membri avranno tempo 24 mesi per recepirlo

n tema di case green la tanto discussa direttiva europea (Energy performance of buildings directive, Epbd) è stata approvata in via definitiva dalla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo lo scorso 12 marzo. Il prossimo 12 aprile il provvedimento verrà ratificato dal Consiglio Ecofin, sarà poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue e dopo venti giorni entrerà in vigore. Gli Stati Membri avranno tempo 24 mesi per recepirlo. La direttiva sarà tuttavia soggetta a revisione entro il 2028.

  1. Direttiva case green, cosa prevede la scadenza del 2030
  2. Case green, l’Italia al lavoro
  3. Case green, quali sono i costi stimati
  4. Direttiva case green approvata, il commento della relatrice ombra

Direttiva case green, cosa prevede la scadenza del 2030

Alla fine, è passata la linea che prevede vincoli meno stringenti, ma l’obiettivo finale rimane quello della decarbonizzazione entro il 2050. Ogni Paese dovrà presentare un piano di riduzione dei consumi che spieghi su quali edifici ci si vuole concentrare e in che modo si punta al raggiungimento degli obiettivi contenuti nella direttiva. Il 55% della riduzione dei consumi energetici dovrà essere raggiunta ristrutturando gli edifici con le prestazioni energetiche inferiori, si parla del 43% degli immobili meno efficienti.

Secondo una stima della Fillea Cgil, in seguito alla direttiva europea sulle case greenin pochi anni dovranno essere riqualificati oltre 500mila edifici pubblici e circa 5 milioni edifici privati con le prestazioni più scadenti, “ognuno dei quali composto da una o più unità immobiliari. Senza contare le nuove costruzioni”. Il sindacato calcola che “le ristrutturazioni dovranno coinvolgere il 15% degli immobili in classe F e G e, entro il 2033, il 26% degli edifici di classe energetica più bassa. Cioè il 43% degli immobili meno efficienti dovrà essere riqualificato”.

Nello specifico, in base a quanto previsto dalla direttiva europea sulle case green

  • per gli edifici residenziali non di nuova costruzione, i Paesi Membri dovranno adottare misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035;
  • per gli edifici non residenziali, gli Stati Membri dovranno ristrutturare il 16% degli immobili con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033, introducendo requisiti minimi nazionali di prestazione energetica da rispettare per tutto il settore dell’edilizia; 
  • nuovi edifici residenziali dovranno essere a zero emissioni dal 2030;
  • mentre i nuovi edifici non residenziali dovranno essere a zero emissioni dal 2028.

Il provvedimento prevede inoltre l’eliminazione graduale dei combustibili fossili dagli immobili entro il 2040.

Case green, l’Italia al lavoro

Nei giorni scorsi, rispondendo a un’interrogazione di Erica Mazzetti, deputata di Forza Italia, posta in Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera, la viceministra dell’Ambiente Vannia Gava ha fatto sapere che il Ministero dell’Ambiente è già al lavoro e che da agosto 2023 ha attivato un tavolo – al quale partecipano i Ministeri dell’Economia e delle Finanze, delle Infrastrutture, della Cultura, l’Enea e Invitalia – “con l’obiettivo di elaborare proposte concrete e condivise per il raggiungimento degli sfidanti obiettivi di efficienza energetica previsti dal Pniec”, (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima).

Proprio in questo tavolo si è proceduto all’elaborazione di un quadro conoscitivo del parco immobiliare italiano, “in termini di numerosità, tipologia e consumi di energia molto dettagliato che ha consentito di effettuare le prime stime sul volume degli investimenti necessari al raggiungimento degli obiettivi previsti dalla direttiva case green”

La viceministra dell’Ambiente ha poi spiegato che “il tavolo sta inoltre elaborando una serie di misure volte ad accompagnare il processo di riqualificazione energetica degli edifici tenendo conto dell’esigenza di mobilitare maggiori risorse private attraverso il ricorso a nuovi strumenti finanziari, alla promozione dei contratti di prestazione energetica (cosiddetti Epc), alla crescita delle imprese dei servizi energetici (cosiddetti Esco)”.

Gava ha inoltre affermato: “Entro la conclusione dei lavori del tavolo, previsti per il prossimo mese di maggio, si potranno avere elementi quantitativi più dettagliati. Tuttavia, si può anticipare che la nuova politica per l’efficientamento degli edifici avrà un impatto significativo per la crescita del settore delle costruzioni e dell’impiantistica, nonché più in generale sulle imprese di servizi energetici”.

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Case green, quali sono i costi stimati

Secondo il rapporto “Valore dell’abitare” elaborato da Cresme e Symbola e promosso da Assimpredil Ance di Milano insieme a European Climate Foundation, saranno necessari tra i 260 e i 320 miliardi di euro per rendere green 3,2 milioni di immobili come previsto dalla direttiva europea, che indica una riduzione del 16% dei consumi energetici degli edifici residenziali entro il 2030.

Il rapporto elaborato da Cresme e Symbola ha infatti stimato in 3,2 milioni gli immobili interessati dall’abbattimento del 16% dei consumi energetici della direttiva europea sulle case green. Nello specifico, ad essere interessati sarebbero quasi 600mila immobili monofamiliari e 2,6 milioni di unità inserite nei condomini.

Secondo quanto sottolineato dal rapporto, “il tema degli incentivi continuerà a essere centrale. Non sarà possibile farne a meno, ma certo l’approccio dovrà essere più rigoroso di quello utilizzato dal superbonus: dovremo introdurre nel mercato incentivi più circoscritti, non fuori scala, con tempi più lunghi e soprattutto con effetti misurabili in termini di performance”.

I dati di Unimpresa parlano di una spesa media per ciascun immobile di 35mila euro. Nello specifico, in base a quanto precisato dal Centro Studi di Unimpresa, “la forchetta varia da 20.000 euro a 55.000 euro, ragion per cui si può stimare, in via prudenziale, una spesa complessiva a carico dei privati pari a 266,7 miliardi di euro nei prossimi 20 anni circa”. 

Commentando le nuove misure varate dall’Ue, tramite una nota, il Codacons ha invece sottolineato che “gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici comportano un costo medio compreso tra i 35mila e i 60mila euro ad abitazione, e solo per la sostituzione della caldaia con un modello di nuova generazione la spesa può arrivare in Italia a 16mila euro”.

Secondo l’analisi del Codacons, “i lavori di riqualificazione più comuni e che interessano cappotto termico, infissi, caldaie e pannelli solari hanno costi molto diversificati a seconda della tipologia dei materiali scelti e dell’ubicazione territoriale degli edifici. Il cappotto termico, ad esempio, ha un costo medio compreso oggi tra i 180 e i 400 euro al metro quadrato, mentre per gli infissi la spesa varia in media da 10 a 15mila euro.

Per una nuova caldaia a condensazione, considerata una abitazione da 100 mq, la spesa va dai 3mila agli 8mila euro, mentre per l’acquisto e l’installazione di una pompa di calore il costo oscilla tra i 6mila e i 16mila euro a seconda dell’impianto scelto. Per un impianto fotovoltaico da 3 kW la spesa da sostenere è di circa 7.500-10.500 euro, a seconda del tipo di pannelli fotovoltaici utilizzati”.

Alla luce di ciò, il Codacons ha sottolineato: “Gli interventi di riqualificazione energetica previsti dall’Ue determinerebbero quindi un costo complessivo medio tra i 35mila e i 60mila euro considerando una abitazione di 100 mq, e potrebbero determinare nel medio termine effetti enormi sul mercato immobiliare, portando ad una svalutazione fino al 40% del valore degli immobili non oggetto di lavori di riqualificazione”.

Direttiva case green approvata, il commento della relatrice ombra

All’indomani dell’approvazione della direttiva europea sulle case green da parte della plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, membro della commissione Itre (Industria, Ricerca ed Energia), Femm (diritti della donna) e Imco (Mercato interno e protezione dei consumatori), nonché relatrice ombra del provvedimento.

Tovaglieri ha sottolineato che, “nonostante alcuni miglioramenti, l’impianto della direttiva rimane altamente problematico” e ha posto l’accento sul fatto che “non è stato previsto alcuno specifico capitolo di spesa, ma solo generici riferimenti ad alcuni fondi (Pnrr, fondi di coesione, fondo sociale per il clima), assolutamente insufficienti e in buona parte vincolati”.

Fonte: Idealista.it

Nuovo decreto superbonus 110, addio a cessione del credito e sconto in fattura

Con il nuovo decreto sul superbonus 110, il governo ha introdotto  una stretta alla detrazione per l’efficientamento energetico degli edifici. Secondo le ultime notizie, lacessione del credito e lo sconto in fattura infatti vengono completamente eliminati non solo per il superbonus, ma anche per gli altri bonus fiscali ed energetici. 

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha definito le norme sul superbonus come “nate in modo scriteriato e che hanno prodotto risultati devastanti per la finanza pubblica”, da qui la necessità di intervenire con un nuovo decreto legge. In attesa dellapubblicazione del nuovo decreto sul superbonus in Gazzetta Ufficiale, è già stato pubblicato il comunicato del consiglio dei Ministri.

Quali sono le nuove regole del bonus 110?

Le nuove regole del bonus 110 sono contenute in un decreto che è stato approvato dal CDM e contiene misure urgenti in materia di agevolazioni fiscali. In particolare, come dice il comunicato, le norme sono volte alla tutela della finanza pubblica nel settore delle agevolazioni fiscali in materia edilizia e di efficienza energetica. 

Vediamo quali sono le nuove regole: 

  • l’eliminazione, per gli interventi successivi all’entrata in vigore delle nuove norme, delle residue fattispecie per le quali risulta ancora vigente l’esercizio delle opzioni per il cosiddetto sconto in fattura o per la cessione del credito in luogo delle detrazioni;
  • al fine di acquisire, alla scadenza ordinaria del termine previsto per le suddette agevolazioni (4 aprile 2024), l’ammontare del complesso delle opzioni esercitate e delle cessioni stipulate, si esclude l’applicazione dell’istituto della remissione in bonis che avrebbe consentito, con il pagamento di una minima sanzione, la comunicazione funzionale alla fruizione dei benefici fino al 15 ottobre 2024;
  • al fine di garantire un’adeguata e tempestiva conoscenza delle grandezze economiche e finanziarie connesse alle misure agevolative oggetto del decreto, l’introduzione di misure volte ad acquisire maggiori informazioni inerenti alla realizzazione degli interventi agevolabili. È, inoltre, previsto, un corredo sanzionatorio. In particolare, l’omessa trasmissione di tali informazioni, se relativa agli interventi già avviati, determina l’applicazione di una sanzione amministrativa di euro 10.000, mentre per i nuovi interventi è prevista la decadenza dall’agevolazione fiscale;
  • al fine di evitare la fruizione dei bonus edilizi anche da parte dei soggetti che hanno debiti nei confronti dell’erario, come già previsto nel nostro ordinamento in altri casi, si dispone la sospensione, fino a concorrenza di quanto dovuto, dell’utilizzabilità dei crediti di imposta inerenti i bonus edilizi  in presenza di iscrizioni a ruolo o carichi affidati agli agenti della riscossione relativi imposte erariali nonché ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate per importi complessivamente superiori a euro 10.000, se scaduti i termini di pagamento e purché non siano in essere provvedimenti di sospensione o non siano in corso piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza;
  • l’introduzione di misure volte a prevenire le frodi in materia di cessione dei crediti ACE, riducendo a una la possibilità di cessione ed estendendo la responsabilità solidale del cessionario alle ipotesi di concorso nella violazione, nonché ampliando i controlli preventivi in materia di operazioni sospette.

Fonte: Idealista.it

Compravendite immobiliari: gli italiani investono ancora nel mattone

L’Agenzia delle Entrate ha evidenziato un dato a chiusura del 2023 che parla di compravendite immobiliari a 709.591, una decrescita del 9,7 per cento rispetto all’anno precedente. Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi Tecnocasa, dopo il risultato brillante del 2022, si confermano dunque le aspettative di ridimensionamento dei volumi di compravendita che restano comunque su numeri interessanti e restituiscono un mercato comunque dinamico, con investitori in aumento.

  1. Transazioni immobiliari nelle città italiane
  2. Comprare casa per investimento
  3. Quanto rende investire nel mattone
  4. Investire in prime e seconde case
  5. Età media degli acquirenti
  6. Le case più acquistate dagli italiani

Transazioni immobiliari nelle città italiane

I comuni capoluogo, rileva Tecnocasa, chiudono con 221.144 compravendite in calo del 10,7% rispetto al 2022, mentre i comuni non capoluogo invece fanno -9,2% passando da 537857 a 488.447, un risultato leggermente migliore. Tra le grandi città è Napoli che mette a segno la contrazione più bassa: -4,4%. Fanalino di coda Bari con -19,1%.

Se si limita l’analisi al quarto trimestre Bari registra il calo più importante con -15,7% mentre Palermo registra solo un -1,6%. Vale la pena sottolineare il buon risultato di Milano e Genova nel quarto trimestre: -2,3%.

Le previsioni per l’anno in corso sono orientate verso un ulteriore ribasso dei volumi anche se la rete nei primi mesi del 2024 ci segnala una maggiore fiducia in chi si avvicina all’acquisto, alla luce dei miglioramenti registrati sul fronte creditizio.

Comprare casa per investimento

Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi Gruppo Tecnocasa il 19,6% delle compravendite immobiliari, nella prima parte del 2023, è stato realizzato per investimento, in leggero aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando la percentuale si attestava intorno al 16,8%. L’inflazione in crescita, infatti, sta spingendo i risparmi sul mattone che viene sempre considerato un ottimo impiego del capitale. Influisce anche il ritorno dei flussi turistici che ha portato nuovamente alla ribalta gli acquisti di immobili da destinare a ricettività sia nelle città più attrattive sia nelle località turistiche. L’analisi considerata prende in esame locazioni a lungo termine e non stagionali. La possibilità di ottenere canoni di locazione continuativi induce prudenza nei proprietari, soprattutto negli ultimi tempi alla luce dell’incertezza e dei rincari dei costi energetici.

Quanto rende investire nel mattone

I rendimenti annui da locazione restano comunque interessanti: per un bilocale di 65 mq nelle grandi città italiane si è attestato intorno al 5,2%, le metropoli che spiccano per avere i rendimenti maggiori sono: Genova con 6,6%, Palermo con 6,4%, Verona con 6,3%.

Chi investe nel mattone mira anche alla rivalutazione dell’immobile e, negli ultimi anni, abbiamo assistito a un recupero dei prezzi.

Gli investitori preferiscono le aree con la presenza di atenei, di servizi (il cui peso è sempre maggiore dopo il lockdown) e sottoposte ad interventi di riqualificazione.

In genere, chi investe nel settore immobiliare non guarda solo ai rendimenti da locazione ma anche e soprattutto alla rivalutazione del capitale. Dal 1998 al 2023, limitando l’esame alle grandi città italiane risulta una rivalutazione dei prezzi del 46%. Quella che si è rivalutata maggiormente è stata Milano con 132,1%, seguita da Napoli con 72,1% e Firenze con il 71,2%.

tassi di investimento sono mediamente più alti nelle grandi città (28,6%), con Verona che guida la classifica con una forte presenza di investitori (43,1%), seguita da Napoli (41,2%). Subito dopo si piazzano Palermo e Milano con percentuali di investimento intorno al 35%. In particolare, a Milano il 2023 ha evidenziato una quota di investitori nettamente più alta rispetto a quanto registrato negli anni precedenti, quando si oscillava tra il 23% e il 27%, a conferma del grande interesse che il capoluogo lombardo sta suscitando negli investitori, anche grazie ai numerosi interventi di rigenerazione previsti in città.

Investire in prime e seconde case

Per quanto riguarda il settore della casa vacanza a livello nazionale non si registrano particolari variazioni rispetto al 2022, nell’ultimo anno infatti il 7,1% delle compravendite ha riguardato questo segmento. Si tratta di percentuali alte, cresciute subito dopo l’arrivo della pandemia, nel 2019 infatti la quota si fermava 5,8%

Cresce la percentuale di residenti in grandi città che si sposta nell’hinterland per l’acquisto dell’abitazione principale: nell’ultima rilevazione, 23 residenti su 100 hanno scelto di acquistare fuori città. Una tendenza che non sorprende alla luce dei cambiamenti che la pandemia ha messo in moto in termini di tipologia di casa ricercata, all’aumento dei prezzi delle case e alla minore disponibilità di spesa causata dall’aumento dei tassi di interesse.

Età media degli acquirenti

In Italia cresce l’età media degli acquirenti, si passa dai 42,7 anni del 2022 ai 43,7 anni del 2023. Negli ultimi 5 anni è la prima volta che si registra un aumento dell’età media, tale trend è determinato anche dalla crescita della componente investitori, target che ha un’età media più alta.

I più attivi sul mercato rimangono comunque gli acquirenti con un’età compresa tra 18 e 34 anni che compongono il 28,8% del totale (arrivavano al 31,2% nel 2022), mentre nel 2019 la maggior parte degli acquirenti aveva un’età compresa tra 35 e 44 anni (27,8%).

Le case più acquistate dagli italiani

Tra le grandi città Milano si piazza al primo posto per quanto riguarda gli acquisti da parte di under 34 (37,5%), al secondo posto Torino, dove gli under 34 effettuano il 34,4% delle compravendite.

Il trilocale rimane sempre la tipologia più compravenduta in Italia (33,9%), al secondo posto si piazzano le soluzioni indipendenti e semindipendenti che arrivano al 21,2%, quota sostanzialmente uguale a quella registrata nel 2022, ma in crescita se confrontata con il 2019 quando si fermava al 19%. Infatti, le soluzioni indipendenti con l’arrivo del covid hanno visto un aumento di compravendite, tendenza che a partire dal 2022 si è leggermente affievolita. Situazione completamente diversa a Milano, dove la tipologia più acquistata è il bilocale (48,5%), mentre al secondo posto si piazzano i trilocali.

A livello nazionale la percentuale di compravendite di abitazioni in classe energetica A e B si attesta al 6,5%, quota simile a quella registrata nel 2022, mentre nel 2021 era più alta e sfiorava l’8%. Si assiste quindi ad una lieve contrazione degli acquisti di abitazioni in classe energetica elevata, diminuisce infatti l’offerta di soluzioni di nuova costruzione e di conseguenza cala anche la disponibilità di tipologie in classe energetica elevata.

A livello nazionale si registra una progressiva crescita della percentuale di acquisti da parte di single, che nel 2023 arrivano ad 1/3 sul totale delle compravendite mentre 2 volte su 3 a comprare sono famiglie. A Milano la percentuale di acquisti da parte di single è nettamente più alta e sfiora il 50%.

Fonte: Idealista.it

Mercato immobiliare in Italia: le previsioni secondo Nomisma

l mercato immobiliare dà ulteriori segnali di indebolimento ma, tenuto conto del “boom” immediatamente successivo agli anni della pandemia, si tratta di una stabilizzazione del mercato su valori che testimoniano in ogni caso una situazione di buona salute. Il vero rischio? L’incertezza legata all’evoluzione dei tassi di interesse e alle conseguenze prolungate sull’economia reale e sul potere d’acquisto delle famiglie. Questa in sintesi la situazione secondo l’Osservatorio sul Mercato Immobiliare Italiano di Nomisma che analizza la congiuntura del settore.

  1. Mercato immobiliare: il quadro macroeconomico in Italia
  2. Domanda e offerta di abitazioni
  3. Prezzi immobiliari, previsioni fino al 2026
  4. Meno acquisti con mutuo, più affitti
  5. Affitti residenziali in Italia
  6. Il mercato immobiliare nelle città intermedie

Mercato immobiliare: il quadro macroeconomico in Italia

“Il contesto macroeconomico nel quale si innesta il mercato immobiliare italiano in questa fase vede una situazione in cui il Pil italiano per il terzo anno consecutivo performa meglio di quello tedesco”, osserva Lucio Poma, capo economista di Nomisma. “Le previsioni per il 2024 vedono il Pil italiano al +0.7 per cento a fronte del +0.5 per cento tedesco, +0.9dell’area euro e +3,1 a livello globale. Un risultato, quello mondiale, che torna ad essere trainato dagli Stati Uniti, previsti al +2,1 per cento”.

Anche l’inflazione in Italia migliora, con un +0.8 per cento contro il 2,5 della Germania. In generale, spiega Poma, il calo dell’inflazione è però legato alle componenti “non core”: la diminuzione del parametro macroeconomico di fatto fatica a trasmettersi all’economia reale, e questo influisce sulla disponibilità di spesa del consumatore.

A ciò si aggiunga il prolungarsi di una situazione di alti tassi di interesse, che, invece di comunicare certezza ai mercati, fanno l’esatto opposto, lasciando intendere che le banche centrali non abbiano idea di come si evolverà lo scenario futuro e, di conseguenza, si mantengano in attesa.

L’effetto tuttavia si scarica sui consumatori i quali, schiacciati dagli alti tassi di interesse sui finanziamenti e dai prezzi al consumo ancora troppo alti,

vedono ridursi il potere d’acquisto e sperimentano una doppia difficoltà ad accedere al credito per acquistare casa:

rate troppo alte da un lato ed eccessiva selettività da parte delle banche dall’altro. A nulla vale il fatto che l’occupazione sia in buona salute, con regioni come Lombardia e Veneto che sperimentano di fatto la piena occupazione: i salari crescono comunque a ritmo ben inferiore all’inflazione e non contribuiscono alla sostenibilità delle finanze familiari. Ragione per cui la domanda di credito è in calo, come anche la domanda di acquisto di abitazioni.

Domanda e offerta di abitazioni

Quanto sopra, secondo Luca Dondi, AD di Nomisma, costituisce il principale fattore di debolezza del mercato immobiliare italiano. Il gap tra inflazione e stipendi è di oltre il 7 per cento, il che si traduce in un atteggiamento più selettivo delle banche nella concessione del credito. La componente di acquisti di case con l’ausilio del mutuo è quindi in diminuzione a causa dell’autoselezione della domanda: le famiglie rinunciano anche a fare domanda di istruttoria se percepiscono che la propria situazione non è sostenibile. Diminuiscono di conseguenza le intenzioni di acquisto delle famiglie e in generale le compravendite.

A causa di questa dinamica, sono infatti in calo di circa il 10 per cento le compravendite residenziali, attestatesi a 710 mila nel 2023 e previste a 695 mila nel 2024, 689 mila nel 2025 e 682 mila nel 2026.

“L’incertezza sulle prospettive rappresenta un fattore di inevitabile differimento delle scelte, soprattutto di quelle che presuppongono un ingente impegno di capitale, come l’acquisto della casa.

Non deve pertanto stupire che nell’ultimo anno la domanda di acquisto si sia ridimensionata rispetto ai livelli del 2022, quando il vento dell’euforia ingrossava le fila degli aspiranti proprietari. Ad essere venuto meno non è tanto l’interesse potenziale, che nel nostro Paese rimane strutturalmente sovrabbondante, quanto la disponibilità del settore bancario a supportare il percorso degli aspiranti mutuatari – commenta Luca Dondi. – Non sono poche le incognite che punteggiano la traiettoria del mercato immobiliare italiano nel 2024, anche se la principale rimane legata all’orientamento delle istituzioni finanziarie ad ogni livello. Il possibile ritorno a condizioni di maggior favore, in termini di propensione all’erogazione e di onerosità del credito, consentirebbe di scongiurare riflessi sui prezzi della flessione di domanda e transazioni. Se nel primo semestre il quadro non pare ormai destinato a mutare, dal secondo è lecito attendersi un cambio di rotta, con effetti che almeno inizialmente saranno piuttosto timidi”.

Prezzi immobiliari, previsioni fino al 2026

Per quanto riguarda i prezzi immobiliari, se nel 2023 l’aumento nominale per quanto riguarda le abitazioni è stato dell’1,5 per cento, la variazione è stata del -3,9 per cento se si considera l’inflazione. Per i prossimi anni, 2024, 2025 e 2026, l’istituto di Bologna prevede una crescita lineare dell’1,4 per cento in termini nominali in ciascun anno; valori che tuttavia, corretti per l’inflazione, dovrebbero tradursi in un -0,5 per cento nel 2024, -0,8  nel 2024 e -0,5 nel 2026.

Non è quindi la situazione dei prezzi – peraltro polarizzata tra città e città – a frenare il mercato quanto, piuttosto, quella del credito. Alla luce di tale quadro, per Nomisma non basterà un atteggiamento più accomodante da parte della BCE per determinare un’immediata risalita delle transazioni, ma sarà necessaria una fase di normalizzazione che agevoli il ripristino di condizioni più favorevoli alla domanda.

Meno acquisti con mutuo, più affitti

A fare da metronomo della risalita del mercato sarà, secondo Nomisma, la componente creditizia, la cui imprescindibilità risulta ormai acclarata, specie in una fase di debolezza ciclica. L’elevato costo del denaro ha fatto sì che la quota di compravendite assistita da mutuo si sia ridotta dal 48,4% del 2022 al 39,9% del totale degli acquisti del 2023.

Le difficoltà di accesso al mercato della compravendita hanno favorito un potenziale spostamento di interesse della domanda verso l’affitto,

che rispetto allo scorso anno è cresciuta di 3 punti percentuali. In altre parole, nel 2023 48mila nuclei familiari hanno rinunciato ad acquistare una casa a favore dell’affitto.

Secondo Nomisma, il calo delle compravendite registrato nel 2023 è imputabile esclusivamente alla componente di domanda che è uscita dal mercato perché dipendente dal credito (-26%), mentre gli acquisti senza mutuo continuano a crescere (+4,8%).

Affitti residenziali in Italia

La “fuga” dall’acquisto con mutuo sposta il mercato verso le locazioni, il che, aggiunto alla domanda di affitto da parte di categorie quali studenti e turisti, con il fenomeno degli affitti brevi, determina una pressione sull’offerta e una impennata dei canoni grazie alla maggiore attrattività delle rendite da affitti non tradizionali. L’aumento dei canoni di affitto nelle 13 città principali è stata del 3,8 per cento, con il massimo registrato dall’8,9 per cento di Bologna e il minimo dall’1,6 per cento di Palermo.

Il mercato immobiliare nelle città intermedie

Il focus dell’Osservatorio immobiliare Nomisma sulle città cosiddette intermedie ha evidenziato una variazione positiva seppure di modesta entità nei valori delle abitazioni (+1,2% per l’usato e 1,7% per l’ottimo stato), sintesi di dinamiche locali tutt’altro che omogenee. Ad esempio, se i mercati di Messina e Ancona fanno segnare una flessione nominale dei prezzi (rispettivamente -2,2% e -1%), quelli di Trieste e Novara (rispettivamente +3,2% e +3%) evidenziano una variazione positiva di entità doppia rispetto alla media dei mercati.

Sul fronte della locazione non si arresta la crescita dei canoni (+2,9% annuo).

La media sintetizza una certa variabilità tra i mercati monitorati: dal calo di Messina (-1,3%), alla stabilità di Bergamo (+5,1%) fino ad arrivare al picco di Perugia (+5,2%).

Considerando i tempi medi di vendita nel residenziale si assiste ad una certa stabilizzazione, nell’ordine di 5,2 mesi per le abitazioni in ottimo stato e di 5,6 mesi per quelle in buono stato. Anche in questo caso tra i mercati si assiste a una certa variabilità, con i tempi di vendita che oscillano tra i 3,5 mesi di Trieste e i 6 mesi di Ancona.

Infine, dall’Osservatorio Immobiliare emerge come la domanda abitativa, sia rivolta all’acquisto che alla locazione, sia sempre di più è orientata a privilegiare le dotazioni interne quali il balcone o terrazzo, il doppio bagno, la luminosità degli ambienti e la disponibilità del posto auto o del garage, oltre a servizi di connettività. A seguire, la ricerca privilegia le caratteristiche del contesto, quali la presenza di verde e la vicinanza ai servizi e trasporti pubblici e, infine, la tipologia dell’edificio, che viene valutata in termini di condizione d’uso e performance energetica.

Lo spostamento di interesse verso la locazione metterà ancora più in evidenza il sovraffollamento di un comparto che già oggi sconta un’evidente carenza di offerta.

Nel residenziale la migliore performance del segmento locativo rispetto a quello dell’acquisto ha sostenuto la crescita – anche se lieve – dei rendimenti lordi da locazione che si attestano al 5,6% annuo.

Gli operatori immobiliari prevedono, per il 2024, una ulteriore diminuzione delle quantità scambiate sul mercato (47,5% dei giudizi) o, tuttalpiù, un’invarianza sui livelli dello scorso anno (44,3%). Solo l’8,2% degli intervistati prevede una ripresa delle compravendite per effetto di una maggiore accessibilità al credito, della disponibilità di nuove abitazioni in vendita e di un’accresciuta propensione all’acquisto, sostenuta anche dall’onerosità dei canoni di locazione” – conclude Elena Molignoni, Head of Real Estate Nomisma.

Fonte: Idealista.it

Case green, Tovaglieri (Europarlamentare): “Questa direttiva scarica i costi sui governi nazionali e sui cittadini”

Come sottolineato nel corso dell’intervista, “non è stato previsto alcuno specifico capitolo di spesa, ma solo generici riferimenti ad alcuni fondi, assolutamente insufficienti e in buona parte vincolati”

Con l’approvazione in via definitiva della direttiva sulle case green (Energy performance of buildings directive, Epbd) da parte della plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, ci si domanda cosa accadrà in concreto adesso. idealista/news lo ha chiesto a Isabella Tovaglieri, Europarlamentare della Lega, membro della commissione Itre (Industria, Ricerca ed Energia), Femm (diritti della donna) e Imco (Mercato interno e protezione dei consumatori), nonché relatrice ombra del provvedimento. Come ricordato, il testo “entrerà in vigore in tutta l’Unione entro il ventesimo giorno dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma gli Stati Membri avranno tempo 24 mesi per recepirla. Ciò significa che per vederla a tutti gli effetti nel nostro ordinamento dovremo aspettare il 2026”.

Tovaglieri ha poi sottolineato che, “nonostante alcuni miglioramenti, l’impianto della direttiva rimane altamente problematico” e ha posto l’accento sul fatto che “non è stato previsto alcuno specifico capitolo di spesa, ma solo generici riferimenti ad alcuni fondi (Pnrr, fondi di coesione, fondo sociale per il clima), assolutamente insufficienti e in buona parte vincolati”.

La direttiva sulle case green è stata approvata. Sebbene in plenaria sia giunto un testo con vincoli meno stringenti rispetto a quanto previsto inizialmente, per il parco immobiliare dell’Unione europea rimane l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050. In base a quanto previsto dall’accordo raggiunto, cosa accadrà in pratica in Italia?

“Il testo della direttiva è stato modificato in molte delle sue parti, ma diversi punti dell’impianto originario – tra cui i più critici – sono stati mantenuti, così come l’obiettivo delle emissioni zero al 2050 per il parco immobiliare europeo.

In base a quanto approvato dalla plenaria, tutti gli Stati Membri dovranno predisporre dei piani di rinnovamento degli edifici che abbiano come obiettivo proprio le emissioni zero entro il 2050, e che prevedano degli step intermedi obbligatori: una riduzione del 16% dei consumi energetici degli edifici entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.

Il nostro Governo dovrà, dunque, mettersi all’opera per trasformare milioni di immobili in ‘edifici ad emissioni zero’ nei prossimi anni”.

Quali sono ora i prossimi passaggi?

“Con il voto di martedì 12 marzo in plenaria, la direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia è diventata legge.

Entrerà in vigore in tutta l’Unione entro il ventesimo giorno dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma gli Stati Membri avranno tempo 24 mesi per recepirla.

Ciò significa che per vederla a tutti gli effetti nel nostro ordinamento dovremo aspettare il 2026”.

I partiti di maggioranza hanno votato contro. Perché? Quali sono le perplessità maggiori? 

“Purtroppo, nonostante alcuni miglioramenti, l’impianto della direttiva rimane altamente problematico.

Innanzitutto, c’è il problema di chi pagherà queste ristrutturazioni, visto che la stessa Commissione stima in centinaia di miliardi di euro i costi imposti da questo provvedimento. Eppure, non è stato previsto alcuno specifico capitolo di spesa, ma solo generici riferimenti ad alcuni fondi (Pnrr, fondi di coesione, fondo sociale per il clima), assolutamente insufficienti e in buona parte vincolati.

Senza parlare, poi, del fatto che il testo prevede delle sanzioni per chi non si adegua, una scelta sbagliata, che ricadrà soprattutto sui cittadini più fragili. Questa direttiva ‘case green’ scarica tutti i costi sui governi nazionali e sugli stessi cittadini: si finisce così per colpire i nostri risparmi e un bene primario come la casa”.

Che ruolo spetta ora ai singoli governi nazionali? Quali sono le strade che potranno essere percorse nello specifico in Italia?

“I singoli governi dovranno occuparsi di recepire la direttiva e presentare nei prossimi anni un piano di ristrutturazioni, in cui devono elencare le misure che intendono portare avanti per efficientare il loro parco edilizio. Nel caso italiano, parliamo di svariati milioni di immobili, tra residenziali e non.

Il problema di fondo però rimane: qualunque strada decida di seguire il Governo italiano per giungere alle emissioni zero entro il 2050, ci sarà un costo elevatissimo da dover pagare e chiedere ai propri cittadini, soprattutto a quelli che vivono negli edifici più energivori e che sono spesso economicamente più fragili.

L’Europa ha però deciso di non farsene carico”.

A giugno ci saranno le elezioni europee. Il Green deal è un tema importante. Alla luce di quanto è accaduto con la discussione sulla direttiva europea per le case green, in che chiave deve essere affrontata secondo lei questa questione cruciale?

“Il Green Deal è il tema cardine della Commissione Von der Leyen e contiene decine di provvedimenti che sono andati a colpire diversi settori: automotive, agricoltura, allevamento, industria, oltre all’edilizia. L’approccio della Commissione è stato estremamente ideologico e impositivo, fatto di divieti, limitazioni e obiettivi da raggiungere in tempi record, senza minimamente tenere in considerazione le peculiarità dei nostri territori e le necessità delle nostre industrie.

Come sulla direttiva ‘case green’, così anche in altri settori, questo Green Deal è irrealizzabile, e avrà gravi ripercussioni sul tessuto sociale ed economico dei nostri Paesi.

Mi auguro che, con le elezioni del prossimo giugno, si arrivi a una maggioranza diversa in Europa, che possa affrontare la transizione ecologica con più realismo e buonsenso”.

Fonte: Idealista.it

Quando conviene la surroga del mutuo, anche per la prima casa

Quando conviene la surroga del mutuo, anche per finanziamenti relativi alla prima casa? Si tratta di una domanda molto comune fra coloro che hanno stipulato un mutuo ipotecario e, con il passare del tempo, non trovano più soddisfacenti le condizioni concordate con la propria banca. Come procedere?

Di norma, la surroga del mutuo è conveniente per coloro che hanno sottoscritto mutui con tassi d’interesse più elevati rispetto a quelli oggi disponibili. Ancora, può essere una strada da valutare quando gli stessi tassi d’interesse iniziano un percorso al ribasso. In ogni caso, per scoprirlo è utile avvalersi di strumenti online per trovare la migliore surroga del mutuo. Di seguito, tutte le informazioni utili.

  1. Cos’è la surroga del mutuo e quando si può fare
  2. Quando conviene la surroga del mutuo
  3. Quando non conviene la surroga del mutuo
  4. Quanto si risparmia con la surroga del mutuo

Cos’è la surroga del mutuo e quando si può fare

Prima di addentrarsi nei fattori che rendono la surroga del mutuo conveniente, è utile ricordare cosa preveda questo istituto e quando è possibile avvalersene. Nota anche come portabilità del mutuo, la surroga è stata introdotta nel 2007 con la Legge Bersani e prevede la possibilità di trasferire un finanziamento già stipulato con una banca verso un nuovo istituto di credito.

La surroga è certamente un’opzione da prendere in considerazione rispetto ad altri strumenti legati al mutuo, come ad esempio la sostituzione, poiché presenta diversi vantaggi:

  • non prevede costi aggiuntivi: la surroga non richiede nessun esborso di attivazione, perizia, assicurazione o di accertamento catastale, poiché semplicemente la banca di approdo eredita il mutuo proveniente dal precedente istituto di credito;
  • non prevede penali: la banca di origine non può richiedere il pagamento di nessuna somma per la surroga del finanziamento, né imporre penali oppure opporsi al trasferimento.

Quando si può fare la surroga del mutuo

Ma è sempre possibile procedere alla surroga del mutuo? In linea generale, la legge non prevede limitazioni particolari per poter trasferire il finanziamento verso una nuova banca, neppure a livello di tempistiche. Tuttavia, i vari istituti di credito possono richiedere la presenza di alcune condizioni.

Firma della surroga del mutuo

Unsplash

Di solito, la maggior parte degli istituti di credito prevede:

  • la presenza di un mutuo già acceso da almeno 12 o 24 mesi, per verificare la costanza e l’affidabilità dei pagamenti del richiedente;
  • un mutuo dalla somma residua non troppo bassa – indicativamente, inferiore ai 50.000 euro – poiché l’operazione non sarebbe remunerativa per la banca d’approdo;
  • una situazione reddituale stabile da parte del richiedente, affinché possa essere assicurato il pagamento delle rate e ridotto il rischio d’insolvenza;
  • un immobile che non ha perso valore nel tempo, poiché potrebbe costituire una garanzia non sufficiente per l’istituto di credito di approdo.

Quando conviene la surroga del mutuo

Come accennato in apertura, la surroga del mutuo è conveniente quando il finanziamento già attivo prevede dei tassi d’interesse molto elevati e, di conseguenza, sul mercato si possono trovare offerte migliori, dovute a un andamento positivo per gli stessi tassi. Sono però diversi i fattori da prendere in considerazione, come spiegato di seguito: il consiglio rimane quello di strumenti online per trovare il mutuo ideale per le proprie esigenze.

Come calcolare se conviene la surroga

Il primo passaggio da compiere, per calcolare se la surroga convenga davvero, è verificare le condizioni dell’attuale finanziamento e confrontarle con quelle invece disponibili sul mercato.

Per i titolari di un mutuo a tasso fisso, il calcolo è abbastanza semplice. Basta ricavare il valore delle rate residue – ad esempio, moltiplicando il TAN per gli anni che restano al finanziamento – e poi confrontarlo con le altre offerte disponibili. Se l’ammontare di queste ultime risulta inferiore rispetto a quanto si pagherebbe con l’attuale banca, la portabilità del mutuo è allora conveniente.

Più complesso è invece il calcolo per i mutui a tasso variabile poiché, come facile intuire, i tassi d’interesse si modificano nel tempo. Potrebbe quindi essere utile prendere in considerazione:

  • capitale: la surroga è solitamente vantaggiosa quando il capitale è ancora alto, mentre perde i suoi vantaggi con capitale basso;
  • andamento dei tassi d’interesse: è utile approfittarne non appena i tassi d’interesse iniziano a scendere, e non quando il processo di decrescita si avvicina alla sua fisiologica conclusione, così da approfittare di rate convenienti per più tempo.

Surroga con cambio di tasso d’interesse

Un altro fattore da prendere in considerazione, per decidere se la surroga sia davvero conveniente, è la possibilità di passare a una diversa tipologia di tasso. Passare da un tasso fisso a uno variabile, e viceversa, potrebbe infatti garantire diversi vantaggi, soprattutto nei primi anni di finanziamento.

In genere, la modifica della tipologia di tasso attraverso la surroga si rivela conveniente:

  • da tasso fisso a tasso variabile: quando si è sottoscritto da qualche anno un mutuo fisso con tasso poco vantaggioso e l’andamento attuale dei tassi d’interesse è in picchiata;
  • da tasso variabile a tasso fisso: quando l’andamento dei tassi d’interesse permette di sottoscrivere finanziamenti fissi a percentuali davvero ridotte, assicurandosi così un esborso minore per tutta la durata residua del mutuo.

Anche in questo caso, la surroga si rivela conveniente soprattutto nei primi tempi dalla sottoscrizione del mutuo, ovvero quando mancano ancora diversi anni dalla sua naturale scadenza. Al contrario, non si rivela la soluzione più vantaggiosa a poche rate alla chiusura.

I servizi bancari offerti con la surroga

Per valutare se la surroga sia la scelta più adatta alle proprie esigenze, non bisogna limitarsi all’ammontare residuo del mutuo e all’andamento dei tassi d’interesse. È necessario prendere anche in considerazione i servizi bancari offerti dall’istituto di credito di approdo. In particolare, si potrà risparmiare se:

  • la nuova banca non prevede commissioni per l’incasso della rata;
  • l’istituto di credito permette di saltare una o più rate senza che vengano alterate le condizioni del finanziamento;
  • la banca offre la possibilità di gestire in modo flessibile le rate, ad esempio con tempistiche di rimborso variabili durante l’anno;
  • l’istituto di credito offre la rinegoziazione gratuita del mutuo sottoscritto, ad esempio con la possibilità di passare da un tasso fisso a uno variabile – e viceversa – anche in itinere.

Come saranno i tassi dei mutui nel 2024

Allo scopo di comprendere l’eventuale convenienza della surroga, è sicuramente utile soffermarsi sulle previsioni relative ai tassi dei mutui per questo 2024 incominciato da poco. Dopo un biennio di tassi d’interesse in crescita, già dalla fine del 2023 si registra un assestamento, che potrebbe trasformarsi in una discesa già dal secondo trimestre dell’anno, per proseguire fino al 2025 inoltrato.

Andamento dei tassi d'interesse

Unsplash

Secondo le principali stime degli esperti:

  • ancora per tutto il 2024, il tasso fisso potrebbe rivelarsi la soluzione più conveniente, con soglie attorno al 3%;
  • nei prossimi mesi si assisterà comunque al ritorno di un tasso variabile meno soffocante, che potrebbe portare a una diminuzione delle rate mensili attorno ai 100-150 euro, su mutui di circa 200.000 euro con durata tra 20 e 30 anni.

Quando non conviene la surroga del mutuo

Dopo aver analizzato i casi che rendono la surroga del mutuo un’opzione auspicabile, è utile anche verificare quando questo strumento non si rivela particolarmente vantaggioso o, addirittura, idoneo.

In linea generale, è meglio orientarsi verso altre soluzioni se:

  • si desidera rimanere con la propria banca: la surroga del mutuo è possibile solo fra istituti di credito diversi. Le soluzioni più indicate sono allora la rinegoziazione o la sostituzione del mutuo;
  • mancano poche rate alla chiusura: in questo caso, i vantaggi di ottenere tassi d’interesse più vantaggiosi sarebbero praticamente impercettibili, soprattutto nei piani di ammortamento alla francese;
  • l’andamento dei tassi d’interesse non è favorevole: il mutuo già sottoscritto prevede delle rate più vantaggiose rispetto a quelle che si riuscirebbe a ottenere ora con una surroga.

Quanto si risparmia con la surroga del mutuo

Fra i titolari di un mutuo per la prima o la seconda casa, capita spesso che sorga la domanda sull’effettivo risparmio che si potrà ottenere con la surroga. Eppure, non vi sono soglie di riferimento che possano valere per tutti, poiché ogni situazione è a sé stante: molto dipende dal tipo di tasso sottoscritto, dall’importo richiesto per il finanziamento e dalla sua durata.

In linea generale, si ottiene il maggior risparmio con la surroga di mutui accesi già da una decina di anni, in periodi di tassi d’interesse in ascesa. Ad esempio, riuscendo a ridurre l’interesse anche di un paio di punti percentuali, nell’arco di una ventina d’anni il risparmio potrebbe essere anche di 20.000 euro. Tuttavia, come già accennato, si tratta di ipotesi che potrebbero non trovare piena conferma sul campo, poiché ogni singolo caso è unico.

Quante volte si può fare la surroga del mutuo

Allo scopo di ottenere un risparmio maggiore, si potrebbe pensare di chiedere più volte la surroga del mutuo, inseguendo così condizioni di mercato sempre più convenienti. A livello normativo, non vi sono limiti alla surroga: il titolare del mutuo può virtualmente richiederla tutte le volte che ritiene.

Nella pratica, non è così semplice saltellare da una banca all’altra alla ricerca del mutuo che garantisce il maggior risparmio. Innanzitutto, quella della surroga è una procedura che potrebbe richiedere del tempo, a volte qualche mese, affinché possa essere finalizzata. Ancora, le banche spesso richiedono una certa stabilità – solitamente il pagamento puntuale per 24 mesi, presso lo stesso istituto di credito – prima di accettare la richiesta di surroga. In genere, è difficile riuscire ad approfittare della surroga più di un paio di volte lungo l’intera durata del finanziamento.

Fonte: Idealista.it