Affitti case: crollo a novembre (-2,1%), ma boom in un anno (12,1%). Scopri i canoni nella tua città

A novembre, i canoni di locazione in Italia hanno registrato una diminuzione del 2,1%, stabilendosi a 12,4 euro/m2 mensili, secondo l’analisi condotta dall’Ufficio Studi di idealista, il portale immobiliare leader in Italia per lo sviluppo tecnologico. Nonostante questo rallentamento nell’ultimo mese, emerge un notevole incremento del 12,1% nell’arco degli ultimi 12 mesi.

Regioni
A livello regionale, si osservano cali generalizzati degli affitti in tutte le aree, tranne in Trentino-Alto Adige (3,2%) e Molise (1,2%), che registrano aumenti a novembre. Le contrazioni più marcate coinvolgono Valle d’Aosta (-8,4%), Calabria (-5,2%) e Puglia (-4,7%), seguite da Liguria (-4,4%) e Abruzzo (-4%). Le restanti 13 regioni in ribasso oscillano tra il -3,5% del Lazio e il -0,2% del Piemonte.

La regione con i canoni di affitto più elevati è la Valle d’Aosta (18,9 euro/m2), seguita da Lombardia (17,5 euro/m2), Toscana (15,8 euro/m2) e Trentino-Alto Adige (14,4 euro/m2). Prezzi superiori alla media italiana sono riscontrati anche in Emilia-Romagna (13,1 euro/m2), mentre le altre regioni oscillano dai 12,3 euro del Lazio ai 6,3 euro mensili del Molise, la zona più conveniente per gli affittuari italiani.

Province
Parallelamente alle regioni, la tendenza provinciale degli affitti risulta negativa, con cali in 73 zone su 107. I ribassi più significativi, superiori al dieci per cento, sono registrati a Latina (-16%), Grosseto (-13,6%), Fermo (-13%), Sassari (-11,1%) e Brindisi (-10,2%). Al contrario, gli incrementi più marcati interessano Oristano (8,2%), Sondrio (7%) e Bolzano (6,5%).

In termini di prezzi, Lucca (26,6 euro/m2) si posiziona come la provincia più costosa, seguita da Belluno (25,9 euro/m2), Bolzano (21,5 euro/m2) e Milano (21,2 euro/m2). Le province con affitti più accessibili sono Enna (4,9 euro/m2), Caltanissetta (5,2 euro/m2) e Benevento (5,5 euro/m2).

Capoluoghi
A livello cittadino, la tendenza si presenta contrastata, con 39 capoluoghi in aumento, 39 in calo e 4 (Verona, Frosinone, Perugia e Pavia) stabili. Le maggiori crescite del mese sono registrate a Vibo Valentia (6,5%), Campobasso e Pescara (entrambe 5,2%), Trento (4,5%) e Lodi (3,8%).
Al contrario, Brindisi (-6%), Macerata e Grosseto (-5,8%), Pesaro (-5,3%) e Ragusa (-5,2%) sono i capoluoghi con i cali più significativi.


Tra i principali mercati della locazione, Venezia (2,4%), Napoli e Palermo (entrambe con un incremento dell’1%) evidenziano una chiara tendenza positiva. Roma mostra una variazione pressoché stabile, con un modesto aumento dello 0,1%. Al contrario, Milano (-1,8%) e Torino (-2%) registrano una contrazione nei prezzi degli affitti.

Nonostante la diminuzione di novembre, Milano (22,5 euro/m2) mantiene il titolo di città più costosa d’Italia per gli affitti, seguita da Firenze (19,9 euro/m2), Venezia (18,4 euro/m2) e Bologna (17,3 euro/m2). Caltanissetta (4,7 euro/m2) si conferma come il capoluogo più conveniente per le locazioni, precedendo Vibo Valentia (5 euro/m2) e Reggio Calabria (5,3 euro/m2).

L’indice dei prezzi degli immobili idealista
Per la realizzazione dell’indice dei prezzi degli immobili di idealista vengono analizzati i prezzi di offerta basati sui metri quadri costruiti (a corpo) pubblicati dagli inserzionisti della piattaforma. Le inserzioni atipiche e le inserzioni con prezzi fuori mercato vengono eliminate dalle statistiche. Includiamo la tipologia di case unifamiliari (ville) e scartiamo immobili di qualsiasi tipologia che non hanno ottenuto interazioni da parte degli utenti per molto tempo. I dati finali vengono generati utilizzando la mediana di tutte le inserzioni valide in ciascun mercato.

Fonte: Idealista.it

Ristrutturazione edilizia, come rinnovare gli edifici esistenti e ridurre drasticamente i consumi

Rinnovare gli edifici esistenti con un approccio olistico, creando il minimo disagio a chi vi abita, renderli smart e ridurre drasticamente i consumi è possibile. A dimostrarlo due progetti coordinati dal Politecnico di Milano e finanziati nell’ambito di Horizon 2020 e Horizon Europe, programmi quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione. Si tratta di Heart e Re-Skin. Entrambi mirano a sviluppare dei pacchetti tecnologici multifunzionali, in grado di trasformare un edificio esistente, ad alta intensità energetica, in una struttura moderna, smart, efficiente e sostenibile. Ma di cosa si tratta esattamente? idealista/news lo ha chiesto a Niccolò Aste, professore ordinario di Fisica tecnica e ambientale al Politecnico di Milano e coordinatore dei progetti.

Il progetto Heart (Holistic Energy and Architectural Retrofit Toolkit) è un toolkit che mette a sistema tecnologie costruttive ed impiantistiche da applicarsi ai fini della riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Il tutto è governato da una piattaforma informatica basata su cloud che include funzionalità decisionali e di gestione dell’energia. Questa diventa così il “cuore” dell’edificio, regolandone il consumo e il flusso energetico. Sono due gli edifici pilota sviluppati nell’ambito del progetto per dimostrarne sul campo la reale efficacia: uno si trova a Bagnolo in Piano in Italia e l’altro a Lione in Francia.

Il progetto Re-Skin, che è l’evoluzione di Heart in chiave di circolarità, integrando Ict, energie rinnovabili, materiali sostenibili (biobased, riciclati o riciclabili) e installazioni di nuova generazione, offre una soluzione olistica e sistemica per il retrofit energetico e l’aggiornamento intelligente di edifici residenziali, commerciali e pubblici. Questo progetto è ancora aperto ed è in fase di sperimentazione a Milano in Italia, poi si interverrà in Francia, in Spagna e in Bulgaria.

Il Politecnico di Milano ha lavorato a due progetti in tema di ristrutturazione degli edifici: Heart e Re-Skin. Di cosa si tratta?

“Gli interventi che abbiamo studiato e che si stanno facendo in giro per l’Europa sono interventi di deep renovation, cioè di ristrutturazione profonda. Si mette mano all’edificio in modo significativo provocando il minimo disagio agli abitanti”.

Nello specifico, i progetti Heart e Re-Skin in cosa consistono?

“Sono progetti di ricerca, sviluppo ed applicazione sul campo. Sia per Heart che per Re-Skin abbiamo studiato dei cosiddetti toolkit, pacchetti di interventi multi-tecnologici che vengono applicati agli edifici esistenti.

Quando si parla di pacchetto multi-tecnologico ci si riferisce ad esempio ad un pacchetto composto da tecnologie di facciata, da sistemi fotovoltaici, da pompe di calore, da una piattaforma cloud che gestisce l’edificio e lo fa interfacciare con l’esterno, da una serie di altri dispositivi già compatibili tra di loro e studiati per la reciproca interazione che vengono applicati in maniera sistemica sull’edificio rinnovandolo.

Si tratta di un approccio olistico. In questo caso tutti i componenti, seppur prodotti da aziende diverse, sono già stati ottimizzati per interagire tra di loro. Ciò comporta un risparmio complessivo notevole”.

Con questo sistema tutto viene ottimizzato?

“Sì, esatto. Ottimizzazione è il termine giusto. All’interno c’è un sistema di building automation che inizia a lavorare prima ancora di essere installato sull’edificio e con i dati a disposizione comincia a simulare l’edificio com’è e come sarà. Attraverso simulazioni iterative e progressive individua il migliore abbinamento tra materiali e apparecchiature. Tutto viene ottimizzato e messo a sistema. Tutto viene messo nella condizione di dare la migliore prestazione possibile. Chiaramente, non si raggiunge mai la perfezione, ma ci si può avvicinare, aumentando l’efficienza ed evitando sprechi e mismatch.

La sfida dei progetti Heart e Re-Skin è trasformare un edificio vecchio, con prestazioni carenti, in  uno smart building ad alta efficienza.

Heart è stato il primo progetto, Re-Skin è una versione evoluta di Heart con molti contenuti di circular economy. Gli obiettivi di Re-Skin sono ancora più ambiziosi, ma sempre confortati dai dati”.

Quali possono essere i benefici in termini di riduzione dei consumi degli smart building

“Si può arrivare al 90% in meno di consumi di climatizzazione.

Questo perché da una parte con le tecnologie di involucro i consumi si riducono molto, dall’altra con l’integrazione del fotovoltaico nelle coperture si autoproduce energia. Quindi si abbatte il fabbisogno di energia e gran parte di essa viene prodotta con il fotovoltaico”.

Il fotovoltaico è una preziosa fonte di energia? 

“Il fotovoltaico è un’ottima fonte di energia, anche competitiva. In linea teorica, si potrebbe vivere di solo fotovoltaico. Il suo unico problema è che dipende dalla variabilità dell’irraggiamento solare, serve dunque l’accumulo, che però costa, ha un ciclo di vita più breve (dell’edificio sicuramente, ma anche dell’impianto fotovoltaico), ha un impatto ambientale diverso. Si tratta dunque di una questione in più da affrontare.

Facendo queste considerazioni, nel primo progetto, Heart, abbiamo installato dei sistemi avanzati di accumulo termico: il fotovoltaico produce elettricità, questa elettricità alimenta la pompa di calore e la pompa di calore riscalda o raffredda l’edificio a seconda della stagione; ma se si ha elettricità in eccedenza dal fotovoltaico, invece di accumularla in una batteria, la pompa di calore riscalda o raffredda dell’acqua in un serbatoio contente materiali a cambiamento di fase, che ne aumentano la capacità termica, così si ha acqua calda o fredda da usare quando non c’è sole. In questo modo si utilizza fino in fondo l’energia fotovoltaica. Nel progetto Re-Skin, invece, al fine di abbattere costi ed impatti stiamo utilizzando batterie riciclate dal settore automobilistico, questo nella logica dell’economia circolare”.

Perché sono importanti questi progetti?

“Questi progetti sono importanti perché c’è l’occasione di studiarli, di elaborare delle soluzioni e poi di provarli sul campo. In Heart abbiamo due edifici pilota, uno a Bagnolo in Piano in Italia e uno a Lione in Francia. In Re-Skin, che è ancora aperto, ne abbiamo quattro: uno a Milano, uno in Francia, uno in Spagna e uno in Bulgaria”.

È davvero possibile trasformare un edificio esistente altamente energivoro in una struttura moderna, efficiente e sostenibile lungo tutto il ciclo di vita? 

“Sì. Questo è proprio uno dei risultati dei nostri progetti”.

L’attenzione verso il risparmio energetico è oramai forte. Come cambieranno le nostre case?

“Gli edifici cambieranno sicuramente, non forse tanto nell’estetica, anche se mi auguro si assista anche a un’evoluzione del linguaggio architettonico, ma certamente nell’efficientamento, anche perché abbiamo degli obblighi, morali ma soprattutto normativi come quelli derivanti dalla nuova direttiva europea sulla prestazione energetica degli edifici.

Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. E non è solo il disagio di un’estate al caldo. Se prosegue, il cambiamento climatico vuol dire cataclismi, danni all’agricoltura, alle acque, fenomeni metereologici estremi, aree che cominciano a desertificarsi, scioglimento dei ghiacciai etc. Il cambiamento climatico è un disastro, i primi effetti li vediamo adesso, ma sono niente rispetto a quello che potrà accadere in futuro se non si agisce con efficacia e determinazione. Una catastrofe ambientale, ma anche sociale ed economica a livello planetario che non ci possiamo permettere.

Il cambiamento climatico è legato soprattutto alle emissioni di CO2. Negli ultimi cento anni c’è stata un’impennata di livelli di CO2 nell’atmosfera che non si è mai registrata in milioni di anni.

E il 40/50% delle emissioni, in Europa siamo intorno al 50%, è dovuto al settore edilizio. La maggior parte dell’inquinamento in atmosfera, di produzione della CO2, è dovuta al settore edilizio.

In considerazione di ciò tutte le politiche energetico-ambientali dicono che è necessario intervenire sugli edifici. Come? Facendo meglio quelli nuovi e porre rimedio in quelli esistenti, il che significa innanzitutto abbattere i consumi energetici e le emissioni associate. Di conseguenza, tutte le politiche parlano di riqualificazione energetica, che fa spendere meno all’utente e che è necessaria per questa azione di contrasto al cambiamento climatico. Dopodiché ci si pone giustamente il problema di chi paga questo efficientamento energetico. Il grande dibattito verte proprio su questo punto”.

Un problema che appare difficile da risolvere…

“Un po’ alla volta si stanno mettendo a punto degli strumenti di incentivazione, di supporto, per queste azioni. Il superbonus è stato una di queste azioni, ha dato un forte impulso, ma non è stato organizzato nel migliore dei modi. L’intenzione era buona, ma le modalità con cui è stato gestito hanno aperto tante perplessità e generato criticità. I meccanismi devono essere studiati meglio, considerando che un efficientamento energetico può avere dei tempi di ritorno finanziariamente interessanti. Nella nuova direttiva europea, ad esempio, c’è la previsione di mutui specifici o fondi di investimento nell’efficienza energetica, oltre a diversi strumenti di finanziamento.

Il tema di chi paga dovrà essere affrontato nel dettaglio. Abbattere i consumi energetici è una convenienza collettiva, bisogna prevedere che anche la copertura sia in qualche modo a carico della collettività e non solo del singolo.

Una politica lungimirante a riguardo dovrebbe tenere in considerazione le diverse disponibilità economiche, le diverse possibilità, i diversi strumenti di incentivazione e trovare delle soluzioni applicabili. Soluzioni che, trovando dei meccanismi adeguati, potrebbero ad esempio prevedere una parte di coinvolgimento del soggetto interessato (che sicuramente ha un ritorno), una parte di finanziamenti da soggetti economici (come i fondi d’investimento) e una parte di incentivo pubblico (adeguatamente modulato)”.

Fonte: Idealista.it

Mutui e affitti tra i fringe benefit: le novità della legge di Bilancio 2024

Mutui e affitti potrebbero essere inseriti tra i fringe benefit, ovvero tra le gratifiche aziendali ai dipendenti. È una delle possibilità apportate dalla legge di Bilancio 2024, che vorrebbe includere rate e canoni a fianco degli altri vantaggi per i dipendenti, quali la detassazione (per importi fino a mille euro, duemila se ci sono figli a carico) o bonus per le spese domestiche. Ecco cosa potrebbe cambiare per mutui e affitti tra i fringe benefit.

  1. Bonus mutui e affitti come fringe benefit
  2. Come funziona il fringe benefit mutuo o affitto
  3. Mutui e affitti tra i finge benefit: le critiche

Bonus mutui e affitti come fringe benefit

La legge di Bilancio 2024 potrebbe prevedere un bonus esentasse, erogato dal datore di lavoro come gratifica aziendale, per coprire il canone di affitto o la rata del mutuo, solo nella sua quota di interessi. Nel caso l’azienda decidesse di aderire a questa possibilità data dal Governo (che per le aziende si traduce appunto nel vantaggio della detassazione), il bonus per i dipendenti potrebbe alzarsi, dai canonici 258,23 euro, a:

  • 2mila euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico, reddito fino a 2840,51 euro e 24 anni di età;
  • 4 mila euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico, reddito fino a 2840,51 euro e oltre 24 anni di età;
  • 1000 euro per tutti gli altri.

Come funziona il fringe benefit mutuo o affitto

Se la misura sui fringe benefit dovesse essere effettivamente approvata, la questione sarà tutta operativa, ovvero: come erogare il bonus mutuo o affitto da parte del datore di lavoro. I criteri di calcolo e le modalità di erogazione sono infatti stabiliti dal Tuir (art.51) tra le norme sulla concessione di prestiti da parte del datore di lavoro, che stabiliscono l’effettiva quota detassabile e le indicazioni sull’attribuzione del bonus. Il che potrebbe presentare delle difficoltà contabili se si tiene conto che, in presenza di tassi di interesse in continuo cambiamento, gli importi da erogare sarebbero da ricalcolare ogni mese.

Mutui e affitti tra i finge benefit: le critiche

Se quindi il possibile bonus mutui e affitti tra i fringe benefit viene accolto con favore in un momento di difficoltà economica come questo, le perplessità sulla sua applicazione restano molte.

Oltre alla difficoltà di calcolo e alle dubbie modalità di erogazione di cui parlavamo sopra, un’altra critica è costituita dal fatto che l’innalzamento del tetto massimo delle gratifiche aziendali riguarderà solo il 2024, il che non costituisce evidentemente un aiuto stabile su cui le famiglie possano contare. La richiesta è quindi che l’aggiornamento delle soglie divenga permanente, in modo da rendere effettivo il beneficio a lungo termine del bonus, sia per i dipendenti che per le aziende.

Un’altra perplessità riguarda i requisiti per l’accesso al bonus. Si tratterebbe infatti soltanto di un beneficio che riguarda la prima casa, e la lista dei documenti da presentare sarebbe stata giudicata troppo onerosa.

Fonte: Idealista.it

Bonus casa, al via dal 1° dicembre la comunicazione dei crediti di imposta non utilizzabili

L’Agenzia delle Entrate ha fatto sapere che la comunicazione dei crediti d’imposta non utilizzabili deve essere inviata a decorrere dal 1° dicembre 2023 tramite un apposito servizio web disponibile nell’area riservata del sito internet della stessa Agenzia, all’interno della “Piattaforma cessione crediti”, direttamente da parte dell’ultimo cessionario titolare dei crediti stessi.

Con il provvedimento n. 2023/410221, in particolare, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che dal 1° dicembre sarà disponibile il servizio sulla “Piattaforma cessione crediti” dell’Agenzia delle Entrate per la comunicazione delle somme inutilizzabili relativi ai bonus casa e al superbonus. La comunicazione dovrà essere inviata dall’ultimo cessionario, sia che si tratti di opzione per la cessione del credito che di sconto in fattura.

Ma cosa deve contenere la comunicazione? Secondo quanto spiegato dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, la comunicazione dei crediti d’imposta non utilizzabili da inviare tramite la “Piattaforma cessione crediti” deve indicare dati specifici.

Per i cosiddetti crediti d’imposta tracciabili devono essere indicati il protocollo telematico attribuito alla comunicazione di prima cessione del credito o sconto in fattura da cui sono derivati i crediti non utilizzabili; una o più rate annuali dei suddetti crediti. La comunicazione è accolta se le rate dei crediti risultano ancora nella disponibilità del cessionario che ha effettuato la comunicazione stessa.

Per i crediti non tracciabili devono essere indicati gli estremi identificativi della rata annuale del credito derivante dalla comunicazione di prima cessione del credito o sconto in fattura; la comunicazione è accolta se il cessionario dispone di credito residuo sufficiente per la tipologia di credito indicata e la relativa rata annuale.

Nella comunicazione è indicata anche la data in cui l’ultimo cessionario è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito.

Le comunicazioni accolte sono immediatamente efficaci e i crediti a cui si riferiscono non risulteranno più a disposizione del cessionario che ha effettuato le comunicazioni stesse.

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L’introduzione della comunicazione dei crediti di imposta non utilizzabili

La comunicazione dei crediti di imposta non utilizzabili è stata introdotta dall’articolo 25 del decreto legge n. 104/2023, “Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici”.

Secondo quanto previsto da tale articolo, “nelle ipotesi in cui i crediti non ancora utilizzati risultino non utilizzabili per cause diverse dal decorso dei termini di utilizzo dei medesimi crediti, l’ultimo cessionario è tenuto a comunicare tale circostanza all’Agenzia delle Entrate entro trenta giorni dall’avvenuta conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano a partire dal 1° dicembre 2023. Nel caso in cui la conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito sia avvenuta prima del 1° dicembre 2023, la comunicazione è effettuata entro il 2 gennaio 2024”. 

La mancata comunicazione entro i termini previsti comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa tributaria pari a 100 euro

Fonte: Idealista.it

Guida alla scelta e alla manutenzione del parquet in bagno

Optare per il parquet in bagno significa realizzare uno spazio dove la natura del legno si sposa armoniosamente con la funzionalità della stanza dedicata all’igiene e al relax. Sebbene si tratti di una scelta estetica estremamente gradevole, si tratta di una decisione da prendere con consapevolezza, considerando attentamente le caratteristiche del legno, le esigenze specifiche del bagno e adottando le misure necessarie per proteggere il pavimento da potenziali danni causati dall’umidità e dall’acqua.

Dunque, quali sono gli accorgimenti da adottare se si desidera installare il parquet in bagno? Come effettuare la corretta manutenzione del pavimento in questi casi? Cerchiamo di fare chiarezza sull’argomento, segnalando tutti i vantaggi e gli svantaggi di optare per il legno in questa zona dell’appartamento fino ad arrivare alle corrette pratiche di manutenzione per il parquet.

  1. Cosa c’è da sapere su parquet e zona bagno
  2. Pavimento parquet in bagno: pro e contro
  3. Manutenzione del parquet in bagno

Cosa c’è da sapere su parquet e zona bagno

Il legno, con la sua bellezza naturale e la sensazione di calore che trasmette, è un materiale versatile che può essere impiegato anche in ambienti come il bagno. Tuttavia, la scelta e l’installazione del parquet in questa zona della casa richiede particolare attenzione per evitare danni dovuti all’umidità e all’acqua.

Infatti, per garantire il successo della scelta di utilizzare il parquet in bagno, è essenziale adottare alcune precauzioni, tra cui:

  • la corretta posa del parquet;
  • l’aerazione della zona;
  • la scelta di specie legnose resistenti all’umidità;
  • l’uso di finiture protettive;
  • l’impiego di prodotti adatti alla manutenzione e pulizia quotidiana del pavimento.

I rischi da cui proteggersi riguardano in particolare i ristagni d’acqua e l’eccesso di umidità. Nello specifico, mentre l’accumulo prolungato di acqua rappresenta una vera e propria minaccia per il pavimento in legno, specialmente quando deriva da perdite continue, le gocce d’acqua occasionali sono generalmente meno dannose. In ogni caso, quando si posa un pavimento in parquet in bagno è sempre consigliabile evitare l’eccesso di umidità e il contatto con acqua derivante da vasca e doccia, assicurandosi di aerare adeguatamente la stanza e rimuovere prontamente l’acqua che si posa sul pavimento.

A questo punto, è possibile affermare che, per prevenire che il pavimento si rovini, è bene adottare specie legnose particolarmente resistenti agli sbalzi di temperatura, tra cui il Teak, l’Iroko, il Doussiè, ed il Merbau.

parquet in bagno

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Anche il parquet in laminato e il parquet in rovere in bagno possono essere ottime scelte, tenendo sempre presenti gli accorgimenti appena esposti rispetto ai rischi dell’utilizzo del legno in questa zona della casa. In realtà, l’unico elemento peculiare del rovere riguarda il tannino, una sostanza contenuta in questo materiale che può portare alla creazione di macchie scure in presenza di elevata umidità. Tuttavia, per prevenire questo fastidioso inconveniente, è sufficiente evitare di esporre il pavimento a ristagni d’acqua prolungati.

Infine, per quanto riguarda la tipologia di parquet, sia il massello che il prefinito sono opzioni valide e, in ogni caso, è necessario ricorrere a trattamenti specifici che permettono di impermeabilizzare il parquet in bagno. A tal riguardo, le moderne vernici all’acqua sono la scelta ideale, poiché offrono un aspetto naturale al pavimento e proteggono efficacemente il parquet. Per completare la protezione contro l’umidità, è poi consigliabile utilizzare del silicone per sigillare gli spazi tra le pareti e il battiscopa.

Qual è il parquet più resistente all’acqua?

La resistenza del parquet all’acqua è un elemento cruciale nella scelta del pavimento di questa stanza o per altre zone della casa particolarmente esposte all’umidità. Tra le specie legnose consigliate, il Teak si distingue per la sua elevata resistenza ed è comunemente impiegato anche in ambienti navali.

Pavimento parquet in bagno: pro e contro

Prima di effettuare l’investimento su questo genere di pavimenti, è bene conoscere quali sono i pro e i contro del parquet in bagno, in modo tale da ottenere il risultato sperato per i propri interni. In particolare, i vantaggi del parquet in bagno sono:

  • carattere naturale: nel contesto della zona bagno, luogo dedicato al benessere e cura personale, l’utilizzo del legno per il pavimento trasmette una sensazione di serenità e accoglienza difficilmente replicabile con altri materiali;
  • comfort tattile: a differenza del gres, che può risultare freddo al tatto soprattutto durante l’inverno, il parquet in bagno offre un piacevole comfort quando calpestato;
  • igiene e uniformità: la superficie uniforme del parquet, priva di fessure, rappresenta un vantaggio in termini di igiene;
  • personalizzazione estetica: optare per questa tipologia di pavimentazione significa poter scegliere tra una vasta gamma di opzioni estetiche, consentendo di personalizzare l’aspetto del pavimento e dell’intero ambiente. Ad esempio, arredare un bagno con parquet e marmo consente di realizzare uno spazio estremamente raffinato. Tramite l’adozione di specie legnose disponibili in diverse tonalità e marmi dall’aspetto lussuoso, è possibile realizzare una zona bagno accogliente;
  • continuità dell’arredo: la possibilità di estendere l’uso del parquet in tutti gli ambienti, conferisce all’appartamento un aspetto coerente ed uniforme;
  • pregio: un bagno con parquet acquisisce un valore superiore grazie alle sue qualità estetiche e materiali intrinseche.
parquet in bagno

canva.com

Questa scelta d’arredo porta con sé anche alcuni svantaggi tra cui:

  • sensibilità: il parquet è suscettibile a graffi e ammaccature quando colpito o sovrastato da oggetti appuntiti o pesanti;
  • assorbimento dell’umidità: la natura igroscopica del legno comporta l’assorbimento rapido delle molecole d’acqua presenti nell’ambiente. Pertanto, è essenziale garantire una corretta ventilazione per evitare ristagni d’acqua prolungati sulla superficie.

Tali svantaggi sono tuttavia facilmente superabili, in particolare, per il primo punto è sufficiente porre attenzione agli oggetti riposti in bagno e a calpestare il pavimento a piedi nudi, in modo da evitare che si graffi. Con riguardo all’ultimo punto dell’elenco dei contro, invece, è bene sottolineare che, come già affermato, l’igroscopicità di questo materiale non impedisce di usarlo in ambienti particolarmente esposti all’acqua.

Infatti, è anche possibile posare il parquet in un bagno cieco, avendo però cura di monitorarlo costantemente ed evitare i ristagni d’acqua per periodi di tempo eccessivamente lunghi. In quest’ultimo caso specifico, potrebbe essere utile installare un estrattore d’aria o dotare la stanza di deumidificatore.

Manutenzione del parquet in bagno

Prestando attenzione alla specie legnosa, alla finitura, e alle pratiche di manutenzione, è possibile godere della bellezza e della funzionalità del parquet anche in questi ambienti. La manutenzione regolare del pavimento in legno è un compito piuttosto agevole, richiedendo l’utilizzo di strumenti specifici e l’attenzione a particolari dettagli. Per iniziare, la rimozione della polvere superficiale può essere eseguita agevolmente con un’aspirapolvere dotata di una spatola a setole morbide o mediante l’uso di panni in microfibra elettrostatica.

Dopo questa fase preliminare, il pavimento in legno del bagno necessita di una pulizia più approfondita. Un panno umido, ben strizzato e immerso in una soluzione composta da acqua tiepida e detergente neutro, o preferibilmente un apposito detergente per parquet, può essere impiegato efficacemente. Tuttavia, è essenziale evitare l’uso di solventi, alcool, acidi o ammoniaca, poiché potrebbero arrecare danni irreparabili alla finitura del pavimento.

Più nello specifico, nel caso di pavimenti verniciati, è consigliabile utilizzare un panno in microfibra insieme a un detergente neutro diluito in acqua. Per i pavimenti oliati, è necessario impiegare un prodotto nutriente specifico che, oltre a pulire, ravvivi il pavimento. Nel complesso, è preferibile evitare l’uso di scope con frange, così come detergenti generici reperibili nei supermercati.

Oltre alla pulizia periodica, è cruciale adottare piccole precauzioni per garantire che il pavimento in legno mantenga la sua bellezza originale nel tempo. Come già accennato, ciò include evitare accumuli d’acqua dovuti a perdite da doccia o vasca, asciugando prontamente eventuali liquidi sul pavimento. La stessa attenzione dovrebbe essere riservata ai tappeti utilizzati per facilitare l’uscita dalla doccia, i quali, se bagnati o anche solo umidi, devono essere rimossi il prima possibile. Infine, l’applicazione di feltrini sugli arredi o sugli sgabelli presenti nel bagno è consigliata per prevenire danni al pavimento causati da sfregamenti.

Che succede se si bagna il parquet?

Se il parquet viene bagnato in modo eccessivo o per un periodo prolungato, può subire danni irreversibili come gonfiore, deformazione, o addirittura marcitura. In questi casi, è fondamentale intervenire tempestivamente, asciugando accuratamente il parquet e, se necessario, sostituendo le parti danneggiate.

Come proteggere il parquet dall’acqua?

Proteggere il parquet in bagno dai ristagni d’acqua è essenziale per preservarne la bellezza e la durabilità. Dopo aver effettuato il trattamento impermeabilizzante, alcune precauzioni da adottare includono l’impiego di tappetini o tappeti in gomma che non rimangono umidi dopo l’uso in modo tale da ridurre il contatto con l’acqua, e la pulizia accurata dopo ogni utilizzo del bagno.

Fonte: Idealista.it

Compravendite, prezzi e affitti residenziali: le previsioni di Nomisma fino al 2026

Se le prospettive di crescita dell’Italia e del mondo sono cautamente positive, prudenza occorre nel valutare l’andamento del mercato immobiliare italiano. Il rallentamento nelle compravendite residenziali 2023, legato per lo più agli effetti dell’aumento dei tassi di interesse, rischia infatti di estendersi anche al prossimo anno. Osservati speciali: i canoni di locazione delle case che, a differenza dei prezzi di vendita residenziali, prendono il volo soprattutto in alcune città italiane, con un focus sulla tematica degli affitti brevi. Questa la sintesi del 3° Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2023 di Nomisma, con le previsioni su prezzi e compravendite fino al 2026.

  1. La situazione economica in Italia e nel mondo
  2. Casa, le intenzioni di acquisto degli italiani
  3. Compravendite immobiliari e previsioni fino al 2026
  4. Prezzi residenziali in Italia, le previsioni a quattro anni
  5. Previsioni sul mercato degli affitti in Italia
  6. Affitti brevi e aumento dei canoni, la posizione di Nomisma

La situazione economica in Italia e nel mondo

Nell’analizzare la congiuntura economica, Lucio Poma, capo economista di Nomisma, si dice moderatamente ottimista relativamente alla capacità delle imprese italiane di scommettere sul futuro, pur in una situazione in cui le previsioni di crescita sul nostro Paese del Fondo Monetario Internazionale sono state limate di alcuni decimi di punto, restando però positive, al +0,7% annuo per il 2023 (contro il +1,1% pronosticato lo scorso luglio).

La situazione dell’inflazione, a livello globale ma in particolare per quanto riguarda Usa e Ue, mostra una componente “core” che non riesce a ridursi, nonostante invece la componente volatile prevalentemente determinata dai beni energetici sia in deciso calo. Il che determinerà probabilmente, secondo Poma, non solo un freno ma anche, presto o tardi, un taglio dei tassi di interesse, soprattutto negli Usa, dove l’economia è guidata in special modo dalla domanda di beni di consumo, danneggiata dall’inflazione.

In questo scenario la fiducia di imprese e consumatori in Italia è in calo; nonostante infatti la produzione industriale dia segnali incoraggianti,

resta il divario tra inflazione e salari, in crescita del 5,5 per cento contro un +3,2 per cento, che sconta anche il gap ancora maggiore dei mesi passati.

Anche la situazione occupazionale, mai migliore di così con una disoccupazione al 7,4 per cento, è una situazione a doppio taglio: il grande numero di inattivi, che non cercano lavoro né studiano, diminuisce l’offerta di risorse umane disponibili, in un momento in cui ce ne sarebbe molto bisogno per il rilancio delle imprese.

A ciò si aggiunga il cosiddetto “inverno demografico”: il numero delle famiglie nel 2021 è aumentato, ma si tratta nel 33 per cento dei casi di famiglie monocomponente, contro un 32 per cento di famiglie con figli. Un sorpasso che avviene per la prima volta nella storia e che influirà sulle scelte economiche future.

Casa, le intenzioni di acquisto degli italiani

Quanto sopra ha il suo ruolo nel definire le intenzioni di acquisto di casa da parte degli italiani, che si rivelano in deciso calo nel 2023. Nel quarto trimestre si prevede infatti un aumento sì delle intenzioni di acquisto, ma solo della loro componente velleitaria, che passa dal 2 per cento del terzo trimestre al 5,5 per cento. Tuttavia

resta bassa la quota di italiani che effettivamente compreranno casa, dallo 0,5 per cento allo 0,7 per cento dal terzo al quarto trimestre.

Per quanto riguarda le famiglie che hanno intenzione di accendere un mutuo, nei 12 mesi la componente che lo farà è un 43 per cento del totale, contro un 35 per cento possibilista e un 22 per cento che di certo non lo farà.

Il calo verificatosi nel corso dell’anno testimonia però l’erosione del potere di acquisto delle famiglie italiane che, associata alle difficoltà di accesso al credito, ha finito per penalizzare le prospettive del comparto immobiliare. Se infatti nel corso dell’anno a ridursi non è stato l’interesse della domanda potenziale, che in Italia si mantiene su livelli straordinariamente elevati,  “L’improvvisa carenza di ossigeno al mercato immobiliare italiano è dovuta alla mancata indicizzazione dei redditi e dalle accresciute difficoltà di accesso al credito derivante dall’impennata del costo del denaro”, come si legge nel Rapporto Nomisma.

Compravendite immobiliari e previsioni fino al 2026

Politiche creditizie più prudenti unitamente alla frenata della domanda si ripercuotono sui volumi di mutui erogati, che registrano un arretramento del -29% nell’anno in corso, con una conseguente diminuzione delle compravendite nell’ordine del -13%, di pari passo all’aumento dei tassi di interesse sui mutui, in particolare a tasso variabile.

Considerando le compravendite residenziali, se nel 2022 si era registrato un rallentamento della crescita (+4,7% annuo), la flessione tendenziale semestrale (primo semestre 2023/primo semestre 2022) si è attestata al -12,5% per un totale di 50mila scambi in meno. In particolare si prevede una chiusura d’anno con 684 mila compravendite (contro le 780 mila del 2022), con un calo del 16 per cento nel solo quarto trimestre, mentre per il 2024 si stimano 624 mila compravendite, per il 2025 602 mila e per il 2026 608 mila.

Prezzi residenziali in Italia, le previsioni a quattro anni

prezzi degli immobili residenziali in Italia mostrano un andamento in pigra crescita, con una media sulle 13 città italiane dell’1,4 per cento che spaziano dal +3,3 per cento di Milano al -1,3 per cento di Catania.

In particolare, nel secondo semestre 2023 la variazione semestrale dei prezzi si è attestata tra l’estremo inferiore delle abitazioni in ottimo stato di Cagliari (-1,3%) e quello superiore rappresentato da Milano (+1,3%). In generale, nella media dei principali mercati italiani analizzati da Nomisma, sono le abitazioni in ottimo stato a far segnare una variazione negativa di modesta entità (-0,1% su base semestrale), mentre si arresta la crescita dei prezzi di abitazioni in buono stato (+0,5%).

A livello nazionale,le previsioni sui prezzi sono in crescita dell’1,5 per cento in termini nominali

(-4,3 per cento in termini reali, al netto dell’inflazione) nel 2023; del +0,6 per cento nominale (-1,5 per cento reale) nel 2024; del +0.5 per cento nominale ( -1,5 per cento reale) nel 2025 e infine del +0.6 per cento nominale (-1.4 per cento reale) nel 2026.

Previsioni sul mercato degli affitti in Italia

Le difficoltà riscontrate dalle famiglie a finalizzare l’acquisto di una casa fanno crescere l’interesse per il mercato degli affitti. Nell’ultimo anno – precisa Nomisma – il 7,3% della domanda si è spostata dall’acquisto all’affitto accentuando la pressione su un comparto già saturo.

Alla domanda abitativa si aggiunge infatti quella universitaria, turistica e di altro genere, determinando una carenza di offerta e alimentando la spirale degli aumenti dei canoni di affitto.

Che aumentano del 3,8 per cento annuo, passando dall’8,9 per cento di Bologna al’1,6 per cento di Palermo. Nel secondo semestre dell’anno il parziale spostamento di interesse verso il mercato degli affitti ha portato ad una vera e propria ascesa dei canoni (+2,1%). Analizzando le singole città si segnalano gli incrementi compresi tra il 3-4% di Milano, Firenze e Torino, fino al +5% di Bologna.

“La mancanza di offerta, – precisa Luca Dondi, ad di Nomisma, – non è certo determinata dalla mancanza fisica di case”.

Sono infatti 3,5 milioni le famiglie multiproprietarie di cui nel 2023 solo il 24 per cento affitta la seconda casa, mentre il 51 per cento la tiene a disposizione della famiglia o di amici e parenti, l’11 per cento la lascia inutilizzata e il 33 la usa come casa per le vacanze. Solo a Milano le case occupate sono 700.586, l’86,5 per cento del totale, mentre quelle non occupate sono 109.404, il 13.5 per cento del totale.

Affitti brevi e aumento dei canoni, la posizione di Nomisma

“Se le case sono scarse, – prosegue Dondi, – è perché in presenza di una situazione in cui i rischi di affittare casa sono molti, i proprietari tendono, legittimamente, a distaccarsi dalle forme tradizionali di affitto, orientandosi verso altre forme di affitto, quale l’affitto breve, o in alternativa lasciando sfitto.

Gli affitti brevi hanno il loro fascino, – precisa l’ad di Nomisma, – e influenzano il mercato,

non tanto perché numericamente la quota di case in affitti breve sia rilevante, perché non lo è, ma perché le prospettive rischio/rendimento sono sicuramente più interessanti”. Parliamo infatti di un gap di rendimento tra libero mercato e locazione breve che a Milano passa dal 4,8 per cento all’8,9 per cento, ma che a Venezia passa addirittura dal 4,4 per cento al 14,2 per cento, o a Roma dal 5,7 per cento all’11,7 per cento. “Credo che le discussioni in tema di affitto breve non possano essere efficaci da sole a riorientare gli usi degli edifici residenziali. Le problematiche da affrontare sono piuttosto altre, tenendo conto che l’affitto oggi è sempre più una scelta, ma manca l’impegno da parte di operatori specializzati nella gestione di ogni problematica, dagli investimenti alla gestione. Occorre ragionare sulla disponibilità di case in Italia e decidere se gli interventi di housing sociale per cui Milano è ammirata come modello debbano restare un modello da ammirare o essere applicati concretamente anche ad altre città”, conclude Dondi.

Fonte: Idealista.it

Dal rent-to buy al co-housing in condominio: le proposte del Notariato per l’emergenza abitativa

I condomini sono la casa di oltre 45 milioni di italiani. Ecco perché la disciplina della vita in condominio è qualcosa che deve riguardare il privato, ma anche il pubblico. Sotto il profilo privato, infatti, è utile diffondere informazioni su come si regolamentano gli aspetti pratici del vivere in condominio, in modo da limitare liti che possono sfociare in cause giudiziarie. Sotto il profilo pubblico, il condominio costituisce una risorsa che risponde a diversi problemi sociali, quali la scarsità abitativa, ma anche l’inverno demografico. E può farlo tramite il rilancio di strumenti come il rent-to-buy e il cohousing. idealista/news ha discusso di tutto questo con diversi esponenti del Consiglio Nazionale del Notariato.

  1. Il rilancio del rent-to-buy secondo il Notariato
  2. Cohousing intergenerazionale: la proposta del Notariato
  3. Vivere in condominio: la guida del Notariato

Il rilancio del rent-to-buy secondo il Notariato

Tra i temi che compongono l’emergenza abitativa in Italia – ben esemplificata dal caso milanese ma diffusa anche in altre delle principali città della penisola – ci sono il caro affitti e la scarsità di offerta abitativa. I numeri di Nomisma mostrano come i due aspetti siano due facce della stessa medaglia, e come la scarsa disponibilità di alloggi sia dovuta non tanto ad una oggettiva scarsità di case, ma ad un non incontro tra domanda abitativa e offerta. I proprietari di casa infatti spesso scelgono di non mettere sul mercato la propria abitazione in attesa di tempi migliori, o per paura di non essere sufficientemente tutelati.

“Lo strumento del rent-to-buy poteva essere una buona risposta, un vero “help-to-buy”,-

spiega il Presidente del Consiglio Notarile di Milano, Carlo Munafò, – ma purtroppo in nove casi su dieci non viene utilizzato, benché sia stato introdotto ormai da oltre dieci anni. Il motivo è che i venditori non si sentono tutelati né incentivati fiscalmente da questa formula, così come è applicata in Italia. Il Notariato sta quindi pensando a come migliorare uno strumento che già esiste”

In che modo il rent-to- buy può aiutare il mercato immobiliare? 

“Il rent-to-buy, – spiega Munafò, – consiste nel permettere ad un potenziale acquirente di entrare in un appartamento pagando una quota che in parte copre l’affitto puro, in parte costituisce un anticipo all’acquisto futuro. In un momento, come questo, di flessione di mercato immobiliare, questo strumento potrebbe dare al venditore la certezza di collocare il proprio immobile sul mercato, e all’acquirente di avere accesso alla casa. La nostra proposta mira ad incentivare questo strumento per rilanciarlo su un orizzonte temporale a lungo termine, il che può essere un aiuto per giungere, ovviamente nei tempi consoni, ad un abbassamento dei tassi di interesse sui mutui”.

Perché il rent-to-buy funziona poco? 

“La formula del rent-to-buy potrebbe risolvere il problema del caro mutui che ostacola l’accesso alla casa, – risponde Enrico Maria Sironi, Presidente Comitato Regionale Notai Lombardia: – consentendo all’acquirente di pagare una quota che è allo stesso tempo canone di affitto e anticipo sull’acquisto, e al venditore di mettere efficacemente la casa sul mercato, incassando in un tempo più dilatato. Questo strumento è normato dal 2014, con una legge che dispone che per dieci anni l’acquirente sia tutelato, qualsiasi cosa succeda al venditore.

Il problema è che tutte le tutele sono state riservate all’acquirente,

ritenuto parte debole. Il venditore rimane esposto al rischio che l’affare non giunga a conclusione. Infatti non esiste un obbligo all’acquisto da parte del possibile acquirente, il che significa che dopo dieci anni il venditore potrebbe trovarsi ancora con la casa invenduta e con in più l’obbligo di restituire parte delle quote pagate dall’inquilino. Il secondo problema, comune ad entrambe le parti, è che dal punto di vista fiscale si ha una doppia imposizione sia sulle somme relative all’acquisto che su quelle legate al puro affitto. Tutto questo fa sì che la maggioranza dei venditori non voglia mettere a disposizione la propria casa con la formula del rent-to-buy”.

Quali soluzioni propongono i notai?

“Noi proponiamo di tutelare anche il venditore, – afferma Sironi, – introducendo nella norma del 2014 anche la possibilità di un obbligo all’acquisto. Un altro incentivo potrebbe essere quello di  introdurre un credito di imposta che consenta, in caso di acquisto, di detrarre tutta o parte la quota di imposte sull’affitto dalla tassazione della vendita. 

Scelta che, in dieci anni, si è rivelata un boomerang per lo stesso acquirente, dato che il rent-to-buy non è praticamente mai decollato per le ragioni di cui sopra, e quindi di fatto è proprio l’acquirente a ritrovarsi uno strumento in meno per uscire dal caro affitti. L’auspicio è che, dopo dieci anni e alla luce dell’attuale situazione di mercato, il legislatore comprenda quanto una piccola modifica potrebbe essere molto utile per contrastare il caro mutui e il caro affitti.

Cohousing fra over 65 e cohousing intergenerazionale: la proposta del Notariato

Un altro aspetto della questione abitativa è quello demografico, con da un lato giovani studenti e professionisti in difficoltà nel reperire un alloggio a prezzo abbordabile, e dall’altro anziani, autosufficienti e non, tagliati fuori dai servizi delle Rsa, che non sempre riescono a sopperire a tutte le loro esigenze.

“La risposta a questo problema può essere il cohousing,- spiega Alessandra Mascellaro, Consigliere Nazionale del Notariato con delega ai rapporti coi consumatori. – La legge 33/2023 prevede la delega al Governo ad emanare entro il 31 gennaio 2024 i decreti attuativi in materia di politiche per gli anziani. In particolare si parla di una serie di interventi per sostenere gli anziani autosufficienti e non in vari aspetti della loro vita, con un richiamo esplicito al

cohousing fra over 65 e al cohousing intergenerazionale, ovvero ad una forma abitativa che preveda la coabitazione nello stesso edificio di anziani e giovani, con servizi condivisi”.

In che modo il cohousing intergenerazionale aiuta l’accesso alla casa?

“Il cohousing intergenerazionale – spiega Mascellaro, – è un aiuto sia per gli anziani soli sia per i giovani, che non sempre hanno la possibilità economica di accedere ad una abitazione abbordabile. Con il cohousing intergenerazionale si può pensare ad una formula abitativa che preveda affitti sostenibili a fronte della prestazione di servizi.

Qual è la proposta del Notariato su questo tema?

“Il Notariato si è chiesto come rendere concreta questa proposta, – risponde Mascellaro, – che si basa sull’assunto che la coabitazione,  tra persone di diverse età, limiti la solitudine, che è la prima forma degenerativa, aumenti la socialità e aumenti la longevità. Secondo il Notariato questa forma abitativa si può realizzare in diversi modi. Da un lato con la formula condominiale, con appartamenti autonomi acquistati singolarmente e servizi condivisi. È la forma più semplice e subito applicabile, che si può già realizzare nei condomini perché l’utilizzo degli spazi condivisi si può disciplinare con i regolamenti interni. Un secondo modo è quello di utilizzare a scopo cohousing i lasciti solidali in capo agli enti del terzo settore, che possono essere messi a disposizione di anziani e giovani, e disciplinati con un contratto di locazione o di comodato. Chiediamo al Governo che i decreti attuativi siano emessi nei termini, e che la loro formulazione sia la più ampia possibile, proprio per includere tutte le forme abitative che possono rispondere concretamente a quelle che per noi sono le esigenze primarie della persona”.

Vivere in condominio: la guida del Notariato

Il Notariato, inoltre, vuole avere un ruolo nell’annosa questione delle liti condominiali, facendosi promotore della guida “Vivere in Condominio: Casi e Risposte Pratiche” (scaricabile qui) , redatta in collaborazione con 14 associazioni dei consumatori, degli inquilini, dei proprietari e degli amministratori di condominio. Un prontuario da consultare per avere risposte rapide e concrete sui diritti dei condomini, sulla gestione delle parti comuni, sul ruolo dell’amministratore, sulla divisione delle spese condominiali, sui regolamenti e su molto altro.

“Il ruolo dei notai in questo è antiprocessuale, – spiega Alessandra Mascellaro. – Occorre infatti favorire la pace condominiale attraverso l’informazione sui diversi aspetti del vivere insieme in condominio. Ci sono diversi aspetti che possono interessare chi vuole vivere in condominio: se sia possibile o meno affittare un appartamento in affitto breve, come si provvede per le spese condominiali arretrate, di chi è la proprietà di un sottotetto o del lastrico solare, e tante altre”.

Fonte: Idealista.it

Mercato abitazioni III trim 2023, domanda debole e difficoltà di ottenere un mutuo come nel 2014

Nel terzo trimestre del 2023 la domanda sul mercato immobiliare si mantiene debole e le difficoltà di ottenere un mutuo per l’acquisto di un’abitazione si collocano su livelli che non si registravano dalla fine del 2014. A dirlo è il sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia, l’indagine della Banca d’Italia presso 1.451 agenti immobiliari condotta dal 25 settembre al 25 maggio 2023 insieme a Tecnoborsa e all’Agenzia delle Entrate. Vediamo cosa dicono i dati emersi dallo studio.

  1. Le quotazioni immobiliari
  2. Le transazioni
  3. La domanda
  4. Lo sconto medio sui prezzi e i tempi di vendita
  5. I mutui
  6. Le prospettive
  7. Gli effetti delle modifiche al superbonus
  8. I canoni di affitto e le locazioni

Il sondaggio ha poi evidenziato che nel III trimestre il saldo tra giudizi di aumento e di diminuzione delle quotazioni immobiliari è divenuto più negativo, pur in presenza di una quota ancora maggioritaria di valutazioni di stabilità. I tempi di vendita e lo sconto medio rispetto alle richieste iniziali sono rimasti stazionari su livelli contenuti. I canoni di locazione sono indicati in aumento per il III trimestre, ma stabili per quello in corso. Le prospettive sugli andamenti del mercato immobiliare continuano a peggiorare con riferimento sia al proprio mercato sia a quello nazionale.

Le quotazioni immobiliari

L’indagine ha evidenziato che nel III trimestre del 2023 la quota di operatori che esprimono giudizi di stabilità delle quotazioni immobiliari è rimasta preponderante (a 61,3 per cento, da 63,0 nella rilevazione precedente), ma si è ulteriormente ampliato il saldo negativo fra i giudizi di aumento e di riduzione dei prezzi. La quota di agenti che ravvisano un calo delle quotazioni immobiliari è salita al 28,6 per cento (da 25,5). A livello territoriale i giudizi sono più negativi nel Centro-Sud.

Le transazioni

La percentuale di agenzie che hanno venduto almeno un’abitazione nel III trimestre è scesa all’80,8 per cento (da 84,2 nel II), il valore più basso degli ultimi 12 trimestri; rimane preponderante la quota di coloro che hanno venduto solo abitazioni preesistenti (82,0 per cento, da 81,7). Tra quelli che hanno effettuato almeno una transazione, quasi un agente su due ha venduto un numero inferiore di abitazioni rispetto al trimestre precedente.

La domanda

Il saldo negativo tra i giudizi di crescita e di diminuzione del numero dei potenziali acquirenti è diventato ancor più negativo (-39,6 punti percentuali, da -37,1 nella precedente indagine). Si attenuano invece i saldi negativi per gli incarichi da evadere (-25,2 punti percentuali, da -26,5) e i nuovi incarichi a vendere (-32,5 punti percentuali da -32,9).

Lo sconto medio sui prezzi e i tempi di vendita

Lo sconto medio sui prezzi di vendita rispetto alle richieste iniziali del venditore è rimasto invariato su valori bassi (8,5 per cento); anche i tempi di vendita sono risultati sostanzialmente stabili, sui valori prossimi ai minimi rilevati dall’inizio dell’indagine (5,9 mesi).

I mutui

La quota di operatori che segnalano difficoltà nell’ottenere un mutuo da parte degli acquirenti è salita al 34,4 per cento, il valore più elevato dalla fine del 2014. Tuttavia, le principali cause di cessazione dell’incarico a vendere restano quelle relative al valore delle offerte ricevute ritenuto troppo basso dal venditore oppure al prezzo richiesto giudicato troppo elevato dai compratori.
La quota di compravendite finanziate con mutuo ipotecario è scesa al 63,4 per cento, dal 64,1, il valore più basso dalla fine del 2014. Il rapporto fra l’ammontare del prestito e il valore dell’immobile è invece rimasto su valori levati, al 77,3 per cento.

Real Estate

GTRES

Le prospettive

Il saldo negativo tra aspettative di miglioramento e di peggioramento nel IV trimestre è rimasto stabile per il proprio mercato (-39,0 punti percentuali) e si è ampliato per quello nazionale (-43,7, da -42,9). Il pessimismo per il mercato nazionale prevale anche su un orizzonte biennale. Le attese di diminuzione dei nuovi incarichi a vendere nel trimestre in corso continuano a prevalere su quelle di aumento, sebbene meno che nella rilevazione precedente (-14,3 punti percentuali, da -29,3). Si è invece ulteriormente ampliato il saldo negativo fra attese di aumento e diminuzione dei prezzi di vendita (-35,9 punti percentuali, da -31,5). Prosegue la discesa delle attese da parte degli agenti sull’inflazione al consumo in Italia nei prossimi 12 mesi.

Gli effetti delle modifiche al superbonus

Secondo gli operatori le modifiche normative al superbonus 110% approvate la scorsa primavera (in particolare i vincoli posti alla cedibilità del credito) avrebbero avuto nel 2023 effetti negativi sia sul numero di potenziali acquirenti sia sull’offerta di abitazioni (con saldi di -27,2 e -14,8 punti percentuali, rispettivamente). Anche per il 2024 gli agenti prefigurano un impatto negativo sull’attività del comparto immobiliare.

I canoni di affitto e le locazioni

La quota di operatori che hanno dichiarato di aver locato almeno un immobile nel III trimestre è appena scesa (79,5 per cento, da 80,1). Un agente su due segnala un aumento dei canoni di affitto; il saldo di quanti ne riportano un aumento rispetto a quanti ne riportano una riduzione si è portato sul valore più alto dall’inizio del 2013 (46,5 punti percentuali, da 43,5), in misura più accentuata nel Mezzogiorno e nel Nord-Est. La maggioranza degli operatori prefigura per il IV trimestre una stabilità dei canoni, ma il saldo tra aumenti e diminuzioni rimane invariato a 32,4 punti. Il margine medio di sconto rispetto alle richieste iniziali del locatore è sceso al 2,2 per cento, un valore contenuto nel confronto storico.

La quota di agenzie che hanno riportato un aumento degli incarichi a locare si conferma inferiore a quella di chi ne ha segnalato una riduzione, sebbene in misura più contenuta rispetto all’indagine precedente (a -36,6 punti percentuali da -39,2). 

Fonte: Idealista.it

Bonus casa under 36: quali agevolazioni fiscali finiranno nel 2024

La manovra di Bilancio 2024 ha rinnovato diversi bonus legati alla casa, tra cui il Fondo Consap che garantisce fino all’80 per cento dei mutui prima casa dei giovani under 36 e di altre categorie specifiche. Occorre però precisare che, per chi acquisterà la prima casa dal 2024, ci sono cattive notizie: le altre agevolazioni fiscali del Bonus Casa under 36 non sono state rinnovate per l’ano prossimo. Ecco allora quali agevolazioni non ci saranno più per l’acquisto della prima casa nel 2024.

  1. Bonus prima casa under 36, cosa cambia nel 2024
  2. Stop alle agevolazioni prima casa se compri da privato
  3. Acquisto prima casa under 36 da costruttore: agevolazioni sospese dal 2024

Bonus prima casa under 36, cosa cambia nel 2024

Chi ha meno di 36 anni può accedere al bonus prima casa, che fino al 31 dicembre 2023 comprende la possibilità di accedere in via privilegiata al Fondo Consap, o Fondo Gasparrini, per i mutui prima casa under 36, oltre ad altre agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa.

Tuttavia, se è vero che la Manovra di Bilancio 2024 all’esame in Parlamento rifinanzia con 282 milioni di euro il fondo di Garanzia- che consente di accedere alla manleva statale sull’80 per cento della quota capitale del mutuo prima casa in caso di ritardo nel pagamento delle rate del mutuo, –  l’altra metà del bonus prima casa under 36non è stata invece prorogata al prossimo anno. Alcune agevolazioni fiscali, quindi, scadranno il 31 dicembre 2023, comportando, per chi acquisterà la prima casa il prossimo anno avendo meno di 36 anni, un aggravio di costi che potrebbe andare dai 2600 ai 10600 euro (secondo il Corriere della Sera), a seconda che si acquisti da privato o da costruttore. In particolare si dovrà dire addio all’esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria e catastale, dall’imposta sostitutiva e del credito di imposta Iva.

Stop alle agevolazioni prima casa se compri da privato

Con l’abolizione delle imposte per l’acquisto della prima casa, nel caso di acquisto di una prima casa da un privato, si tornerà a dover pagare le imposte calcolate sulla base della rendita catastale dell’immobile, moltiplicata per 115,5. Con costi che, per una casa con imponibile di 125 mila euro, potrebbero ammontare a 2600 euro. L’imposta di registro è infatti del 2 per cento con base minima di mille euro (in questo caso 2500 euro) mentre le imposte ipotecaria e catastale ammontano a 50 euro l’una.

Acquisto prima casa under 36 da costruttore: agevolazioni sospese dal 2024

Anche acquistando da costruttore la sospensione delle agevolazioni fiscali creerà dal 2024 un aggravio di costi in termini di imposte non indifferente, fino a 10600 euro per una casa da 250 mila euro. L’Iva al 4 per cento non darà infatti più diritto a un credito di imposta equivalente, e vi si aggiungeranno imposte di registro, ipotecaria e catastale di 200 euro l’una. Non si avrà nemmeno più diritto all’esenzione dall’imposta sostitutiva dello 0,25 per cento sul mutuo, il che porterà a un ulteriore aggravio di 500 euro su un mutuo da 200 mila euro.

Fonte: Idealista.it

Il reddito familiare netto per l’affitto supera del 33% quello necessario per l’acquisto di un’abitazione

Il reddito familiare richiesto per affittare una casa in Italia si aggira intorno ai 28.319 euro netti all’anno, come evidenziato da un’indagine pubblicata da idealista, portale leader per lo sviluppo tecnologico. Si tratta di una cifra del 33% superiore a quella necessaria per sostenere la rata del mutuo per l’acquisto della stessa abitazione – una casa con due stanze da letto, la tipologia più richiesta da coloro che stanno cercando una nuova soluzione abitativa -, stimato in 21.363 euro netti. A questa cifra bisogna aggiungere un risparmio minimo di 40.682 euro, richiesti come acconto.

Tra i principali mercati italiani, Genova presenta la maggiore differenza percentuale tra il reddito netto necessario per l’affitto e per l’acquisto, con una disparità del 70%. Seguono Palermo (60%), Torino (43%), Napoli (22%), Roma (21%), Bologna (20%) e Milano (12%). In modo sorprendente, a Rimini (-22%), il reddito familiare essenziale per l’affitto è inferiore rispetto a quello per l’acquisto. Rimini precede altri 15 centri, tra cui Bolzano e Arezzo (entrambe -14%), quindi Cuneo, Imperia e Matera (tutte -12%).

Il saldo più significativo tra le due operazioni emerge nella città di Biella, dove è necessario avere un reddito superiore del 112% per affittare una casa rispetto all’acquisto. A seguire, si collocano Ragusa (98%), Vicenza (94%), Trapani (86%), e Siracusa (83%).

Reddito per l’affitto
In sintonia con i suoi elevati costi di affitto, Milano richiede il reddito netto più alto per accedere a una casa in affitto: 72.782 euro netti. Seguono Firenze (49.403 euro netti), Bologna (49.039 euro netti), Bolzano (48.786 euro netti) e Venezia (47.743 euro netti). Roma (45.649 euro netti) e Napoli (37.336 euro netti) si collocano rispettivamente all’ottavo e tredicesimo posto nella classifica. Nell’opposto spettro, Vercelli richiede solo un reddito di 11.809 euro per affittare un trilocale.

Reddito per acquistare
Il reddito necessario per l’acquisto, escludendo il risparmio per coprire il 20% dell’acconto e le spese (stimato intorno al 10% del valore dell’abitazione), è di 65.051 euro netti a Milano, seguita da Bolzano e Venezia con 56.758 e 48.873 euro netti rispettivamente. Roma (37.649 euro) si posiziona all’ottavo posto nella classifica, mentre Napoli (30.547 euro netti) è diciottesima. Solo 4 capoluoghi richiedono un reddito familiare netto inferiore a 10.000 euro all’anno per l’acquisto di una casa: Biella (7.869 euro netti), Caltanissetta (8.610 euro), Ragusa (9.386 euro) e Alessandria (9.784 euro).

Risparmio necessario
La principale sfida per molte famiglie nell’affrontare l’acquisto di una casa è rappresentata dal risparmio necessario per coprire l’acconto (20% del valore di perizia non finanziato dalla banca e il 10% di spese e tasse). La città con il requisito di risparmio più elevato è Milano, che richiede 123.880 euro per un trilocale, seguita da Bolzano con 108.088 euro. Al di sotto dei 100mila euro di risparmio, troviamo Venezia (93.073 euro), Firenze (78.877 euro) e Monza (78.527 euro). Biella emerge come la città con il requisito di risparmio più basso (14.986 euro), seguita da Caltanissetta (16.396 euro), Alessandria (17.875 euro) ed Enna (18.632 euro). Questi centri italiani consentono l’accesso alla casa di proprietà con un risparmio inferiore ai 20.000 euro.

Fonte: Idealista.it